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    Aratura di un campo in Valtellina - Gabriele Antonioli
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    Battitura del saraceno con il fièl - Gabriele Antonioli
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    Delle contadine utilizzano il drac‘ per setacciare il saraceno - Gabriele Antonioli
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    Una bambina mangia della polenta con il latte - Gabriele Antonioli
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    Casèli (piccoli covoni) di grano saraceno posati sul campo - Gabriele Antonioli
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    Mulinello per la pulizia dei cereali - Gabriele Antonioli
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    La festa del Ciama l‘erba a Teglio - Parrocchia di Teglio
  • Pulizia e setacciatura della segale a Teglio - Mario Motalli dalla Community
  • Mietitura del grano saraceno a Teglio - Mario Motalli dalla Community
  • Mietitura a mano della segale a Teglio - Mario Motalli dalla Community
  • Battitura del grano saraceno in Valtellina - Mario Motalli dalla Community
  • Battitura della segale in Valtellina - Mario Motalli dalla Community
  • Impasto e preparazione del pan de séghel in Valtellina - Mario Motalli dalla Community
  • Polenta taragna nera a Teglio - Fabio Saini dalla Community
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    La tipica polenta taragna nera, a base di grano saraceno, burro e formaggio - Fabio Saini
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    Dettaglio di segale essiccata - Lorenzo Caglioni
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    Dettaglio di un campo di segale - Lorenzo Caglioni
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    Semi di grano saraceno - Lorenzo Caglioni
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    Un fiore di grano saraceno - Lorenzo Caglioni
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    Il fièl per la battitura del grano saraceno - Lorenzo Caglioni
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    Grano saraceno varietà ‘Nzibaria - Jonatan Fendoni
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    Piccolo mulino moderno per la preparazione di farine di grano saraceno e segale - Lorenzo Caglioni
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    Grano saraceno, varietà Nustran di Teglio - Jonatan Fendoni
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    La farina di grano saraceno di Lino Saini - Lorenzo Caglioni
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    Preparazione dei pizzoccheri - Lorenzo Caglioni
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    Un campo di saraceno in fiore - Jonatan Fendoni
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    Piatto di pizzoccheri - Lorenzo Caglioni
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    Campo di segale in primavera - Lorenzo Caglioni
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    Trebbiatura della segale - Andrea Fanchi
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    Campi di grano saraceno in fiore a Teglio - Giancarla Maestroni
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    Preparazione della polenta di grano saraceno - Naima Comotti
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    Tipiche brasciadèle di segale - Mario Motalli
  • 1950
    2021
    2022

Coltivazione dei cereali antichi, grano saraceno e segale, in Valtellina

(Furmentun e seghel)

Fra i cereali antichi coltivati tradizionalmente in Valtellina e appartenenti alla cultura contadina locale ci sono il miglio, il panico, la dumega (orzo), la segale e il grano saraceno. Rispetto al passato, oggi la cerealicoltura si è molto ridotta in Valtellina a causa della perdita di attrattività dell’agricoltura in genere, ma anche della consolidata tendenza a importare i cereali da altre zone. Del resto, nemmeno se la valle tornasse al massimo della sua produttività si riuscirebbe a soddisfare la richiesta di prodotti cerealicoli che oggi il settore turistico e della ristorazione locale richiedono, soprattutto per i prodotti a base di grano saraceno e in particolare per il celebre pizzocchero valtellinese. Oggi le produzioni locali si concentrano soprattutto su segale e grano saraceno, concentrati soprattutto nella zona di Teglio, dove ci sono attualmente circa 20 ettari di campi coltivati a cereali antichi, nella fascia tra i 700 e i 1000 metri s.l.m. Nel XIX secolo la coltivazione raggiungeva un’estensione di circa 2000 ettari.
La segale e il grano saraceno sono protagonisti della tradizione alimentare valtellinese da centinaia di anni. La segale è un cereale che su tutto l’arco alpino ha costituito una fonte di nutrimento indispensabile già dall’antichità per la sua capacità di crescere anche in alta quota. La ricetta principale a base di segale costituisce proprio la base dell’alimentazione quotidiana. Il “pane di segale”, detto anche in dialetto brasciadèla de seghel è una tradizionale ciambella composta, come evocato dal nome, da due braccia, che racchiudono un buco centrale riutilizzato per infilare il pane in un bastone e appenderlo al soffitto per l’essicatura e per tenerlo lontano dagli animali.
Il grano saraceno ha invece una storia più recente, ma che si lega strettamente all’identità di questa zona alpina e ai suoi prodotti culinari più caratteristici. Nonostante il suo nome, il grano saraceno non è un cereale, ma uno pseudocereale, cioè il seme di una pianta che non forma una spiga ma un fiore. Non si tratta infatti di una graminacea, ma di una poligonacea. Presente in Valtellina da circa 400 anni, dal 1600 è diventato uno degli alimenti base della cucina tradizionale. 
Segale e grano saraceno costituiscono in Valtellina due coltivazioni complementari. La doppia coltura infatti caratterizza da secoli il territorio grazie al clima favorevole che permette delle rotazioni anche intorno ai mille metri. La segale in Valtellina è utilizzata infatti come coltura invernale. Seminata nel mese di ottobre, durante l’inverno resiste sotto il terreno e inizia a crescere in primavera, fino alla maturazione, che avviene nel mese di luglio. Dopo il raccolto, si semina subito il grano saraceno, che è pronto a ottobre. Jonatan Fendoni, agricoltore, racconta qui questi passaggi della rotazione stagionale tradizionale: Allora qui principalmente in valle le produzioni erano a rotazione annuale sullo stesso campo: c’era la segale, che era l'invernale, seminata a ottobre e raccolta verso metà luglio. Dopo la raccolta della segale si va a mettere il saraceno, che è pronto a ottobre. Quindi ogni tanto si dà la concimata a livello tradizionale. Si hanno magari un anno le patate o il mais e poi si torna a fare questo ciclo. Raccolte le patate o il mais vai a mettere l'invernale, che sia segale o frumento; ci sono quindi delle semine primaverili come magari l'orzo o certe tipologie di frumento, mentre il saraceno è quello che fai nei mesi estivi, in cui c'è una rivalorizzazione del terreno, visto che poi il saraceno non ha grandi esigenze, anzi più è povero il terreno meno si alletta, meno cresce in altezza e meno si spiana.”
Alle due colture principali si alternano, come emerge nel racconto, anche altri cereali come semine primaverili, dopo aver lasciato il campo a riposo durante l’inverno, o quella delle patate, che vengono piantate a marzo-aprile una tantum, prima del saraceno, che resta una coltura secondaria utile per rivalorizzare il terreno. Nella testimonianza di Gennara Arrondini, anziana coltivatrice da cui prende il nome la qualità di segale autoctona, emerge ancora l’importanza della doppia coltura e l’uso della patata come alternativa, anche per indebolire il terreno prima della semina del grano saraceno, che richiede un terreno povero per poter crescere adeguatamente: La segale la piantiamo a novembre. Fa tutto l'inverno, a luglio si taglia e poi si mette il grano saraceno che viene quindi raccolto ad ottobre. Sul grano saraceno c'è un detto che a San Giacomo “o nato o seminato”. Sarebbero gli ultimi giorni che si semina, è il 25 luglio, e si poi coglie dalla metà di ottobre fino ai primi di novembre. La patata la mettiamo a marzo-aprile e si raccoglie a luglio. La patata si mette una volta ogni tanto... Se si butta su tanto letame la si mette per indebolire, per il grano saraceno, si mette la patata perché è una divoratrice di sostanza.” 
Sono state le semenze di segale custodite negli anni da Gennara ad essere state riconosciute recentemente insieme al saraceno come qualità antiche locali, ora depositate presso la banca del germoplasma di Lecco, grazie alle ricerche del progetto ConserVa. La varietà di segale più antica individuata è stata registrata proprio come “Arrondini”, il cognome di Gennara, come emerge anche dal racconto di Giancarla Maestroni: Si sono individuati tre ecotipi. Uno di segale è stato chiamato Arrondini, da Gennara Arrondini, l’anziana coltivatrice di Teglio. Invece per il grano saraceno si è stabilito che ci sono due varietà locali: il nustran e il curunin. Nustran che vuol dire che è più antico, quello nostrano, introdotto nel 1600, il curunin quello introdotto all'inizio del 1900, che è più piccolo e argentato.” 
Grazie ai risultati del processo di analisi genetica, si prevede in prospettiva di costruire una “carta di identità” dei grani locali in modo da raccontarne l’origine, promuoverne la valorizzazione anche a livello commerciale e, inoltre, favorire la conoscenza delle loro proprietà nutraceutiche: è infatti emerso che alcune delle varietà più antiche individuate presentano componenti o principi attivi particolarmente benefici per la salute.
Questo progetto si inserisce in un processo più ampio di ripresa della coltivazione dei cereali tradizionali. La cerealicoltura in Valtellina vive infatti oggi un momento di trasformazione molto importante. Il ritorno di alcune persone e azienda alla coltivazione dei cereali antichi negli ultimi 30 anni ha portato gli abitanti a confrontarsi con le sfide dell’innovazione di una pratica tradizionale che è rimasta per secoli uguale e che oggi inizia a servirsi di una meccanizzazione su cui nessuno aveva investito negli anni dell’abbandono dei campi. Il ritorno alla coltivazione sta dando progressivamente origine a una filiera locale, sostenuta sul lato commerciale dalla nascita di nuove imprese agricole, su quello della promozione dall’attività di alcune imprese, servizi e associazioni e, infine, sul lato culturale dalla valorizzazione di feste e luoghi legati alla civiltà contadina.
Un esempio di iniziativa culturale è la festa che a Teglio prende il nome di “Ciama l’erba” (= chiama l’erba) un’antica tradizione contadina che in Valtellina è stata ripresa in diversi paesi da pochi anni. Si tratta di una camminata rituale dal carattere propiziatorio che si svolge tra le strade dei borghi per risvegliare la natura chiamandola simbolicamente con il suono dei campanacci e dei corni. Nelle parole del giovane Fabio, 17 anni, la descrizione della sua esperienza nelle edizioni più recenti: A Teglio la facciamo la prima domenica di marzo, dove si suonano i campanacci, i corni per risvegliare la primavera. È una tradizione che hanno sempre fatto anche i nostri vecchi e negli ultimi anni è stata ripresa grazie alla parrocchia e a tutte le associazioni di Teglio. Ci si veste in modo come una volta, partecipa anche il gruppo del “buon tempo”, un gruppo che si veste in costume, e si fa il giro del paese suonando i campanacci; poi si va in oratorio e si fa tutti merenda tutti insieme.”
Il secondo esempio è il restauro del Mulino Menaglio, un mulino ad acqua risalente al XVIII-XIX secolo, collocato nella frazione di San Rocco a Teglio in ottimo stato di conservazione. Grazie ai lavori di recupero realizzato per iniziativa dell’Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali alpini tradizionali con il finanziamento della Fondazione Cariplo e del Gal, dal 2012 è visitabile ed oggi è dotato anche di un piccolo museo della civiltà contadina che racconta della lavorazione della segale e del grano saraceno, dalla semina alla trasformazione in farina. Questo mulino costituisce oggi un importante luogo di memoria, ma è anche una risposta alle esigenze dei piccoli agricoltori locali, che hanno bisogno di un posto dove macinare i loro cereali.
La valorizzazione culturale non si ferma tuttavia a forme di recupero di pratiche e luoghi del passato, ma in Valtellina troviamo anche nuove iniziative. Uno dei casi più noti nel comune di Teglio è quello della manifestazione “Na sleciada de camp de furmentun”, una camminata guidata che si svolge alla fine del mese di settembre tra i campi di grano saraceno in fiore. Nelle varie tappe della passeggiata, promossa ancora una volta dall’Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali alpini tradizionali, vengono mostrate ogni anno ai partecipanti alcune fasi del processo di coltivazione e lavorazione del grano saraceno, oltre al caratteristico paesaggio caratterizzato dalle magnifiche fioriture bianco-rosacee.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Fra i cereali coltivati in Valtellina il più antico è la segale, originaria della Mesopotamia e conosciuta sulle Alpi almeno dai tempi dei Romani, che la ritenevano il grano “dei poveri”, contrapposta al farro, considerato più nobile. Sebbene la segale fosse denominata “taurinense”, con riferimento alle alpi occidentali, è plausibile pensare che anche nelle Alpi centrali si coltivasse per l’alimentazione. Questo cereale si è da sempre caratterizzato per una forte adattabilità anche a terreni e clima di alta quota. Secondo la testimonianza di Giancarla Maestroni, studiosa di storia della Valtellina, la certezza dell’uso di questo cereale è attestata da documenti del XIII secolo: “Notizie scritte storiche le abbiamo da don Tarcisio Salice, uno storico della Valtellina e della Valchiavenna, il quale ci attesta che era a conoscenza che nel 1200, all’interno di alcuni documenti appariva già la segale come prodotto della valle.”
Al sedicesimo secolo risale invece l’introduzione del grano saraceno, il fagopyrum esculentum, oggi conosciuto nel territorio tellino nella varietà del nustran, o nostrano di Teglio, semente che va dal colore rosso al marrone scuro. Si tratta di uno pseudo cereale originario dell’Asia centrale, coltivato in Cina, Corea e Giappone a partire almeno dal II-I sec. a. C. e arrivato in Europa probabilmente nel XV secolo con le invasioni mongole. L’attributo “saraceno”, non esprimerebbe in realtà un legame con i Saraceni in senso stretto, ma identifica piuttosto una coltura “non cristiana”, che viene da popolazioni straniere, al di fuori del contesto occidentale, come mostra la probabile provenienza dall'est dalla Cina. Nella prima testimonianza scritta che abbiamo, risalente al 1616, Giovanni von Weinech, storico grigionese e governatore della Valle dell’Adda, elenca tra i prodotti locali - oltre a grano, segale, orzo, avena, piselli, miglio e lenticchie - il così detto “heidenkorn”, ovvero il grano (korn) dei pagani (heiden), per identificare il grano dei non cristiani. Due secoli più tardi, nel 1700, viene introdotto il fagopyrum tataricum, una specie considerata oggi infestante di origine siberiana, la nzibaria. All’inizio del XX secolo risale invece l’introduzione del il curunin, di colore grigio e con granella più piccola. Da un punto di vista storico, la presenza di campi di saraceno è documentata dal 1600, con il massimo della produzione nel 1800, quando solo in Valtellina si contavano 2000 ettari coltivati a segale e grano saraceno, principalmente sul lato retico. La coltivazione era destinata principalmente all’autoconsumo. A partire dagli anni ‘50 e ‘60 del Novecento la coltivazione dei cereali in Valtellina è andata diminuendo, fino quasi a perdersi negli anni ‘80. 
La crescita del settore turistico e la forte richiesta della ristorazione ha portato di recente la valle a rafforzare l’industria di trasformazione del grano saraceno, in particolare per la produzione del pizzocchero e di altre specialità. Per questo i mulini Tudori e Filippini hanno iniziato a importare grano saraceno dal Nord Europa e dall’Asia, fino a diventare tra i maggiori importatori di grano saraceno in Italia. Negli ultimi decenni la valle ha visto qualche segno di ripresa e oggi si coltivano circa 20 ettari principalmente concentrati nel comune di Teglio. Si tratta di una coltivazione per un mercato di nicchia che si sta però iniziando a diffondere e valorizzare maggiormente grazie anche alla promozione attività della comunità coinvolta.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

Il processo di apprendimento relativo alle pratiche agricole dei grani antichi in Valtellina è strettamente legato al contesto comunitario e spesso anche a quello familiare. Nella testimonianza del più giovane dei coltivatori tellini (Fabio, 17 anni) viene sottolineata l’importanza dei nonni nella trasmissione dei saperi, ma anche dei “vicini di casa”: Fin da piccolo ho sempre visto i campi sia di segale sia di grano saraceno, nella mia famiglia abbiamo inoltre sempre messo le patate e il granturco rosso e giallo. Tutto questo ci serviva un po' per dare da mangiare agli animali e un po' per fare un po' di farina. Ho sempre visto anche gli altri del paese mettere il grano saraceno e la segale; la nonna fino agli anni ‘90 coltivava il grano saraceno e la segale, ma poi ha smesso. [...] Mia nonna mi ha passato alcune conoscenze e un po' anche i miei vicini di casa. Nella mia famiglia rispetto alla cura dei campi c'è stato un salto di generazione: mio nonno e mia nonna l’hanno sempre fatto, mentre mio papà pur avendo sempre coltivato le patate e poco granturco, quando ha iniziato a lavorare andava poco nei campi e per pochi quantitativi. Il campo comunque c'era, facevamo la rotazione, che tenevamo metà a maggese e ruotava l'anno dopo. Successivamente quando sono cresciuto abbiamo quindi deciso, al posto di lasciarlo a maggese, di provare a coltivarlo e quindi c'è stato un salto di generazione”.
In questo senso riveste un ruolo fondamentale il vicinato: con i vicini anche i più giovani parlano, si confrontano e da loro apprendono attraverso osservazione, identificazione e amicizia. Oltre alle modalità di trasmissione legate principalmente all’osservazione di persone prossime per parentela ma anche di vicinanza fisica, emerge da un lato il fatto che ci sia stato un “salto generazionale” che ha riguardato la generazione dei suoi genitori, che si è allontanata dalla cultura contadina per perseguire altre aspirazioni professionali, legate allo sviluppo del settore secondario, in particolare, e a quello del terziario.
Un’altra modalità di apprendimento rilevata è inoltre quella scolastica e universitaria. Diverse persone hanno infatti iniziato un’attività agricola dopo aver conseguito un diploma di scuola superiore in ambito agrario o una laurea. La nuova generazione di agricoltori ha dunque spesso acquisito conoscenze specifiche e si approccia alla cerealicoltura con nuove consapevolezze e sensibilità. 

COMUNITÀ

L'aratro lo possedeva una famiglia e la prestava agli altri, mentre magari loro li aiutavano a tagliare la segale. Ci si aiutava l'un l'altro. Era una cosa bellissima essere affiatati così”: i ricordi della civiltà contadina in cui è cresciuto Lino, l’uomo più anziano del villaggio di San Rocco di Teglio, sono un intreccio di grande zelo nel lavoro nei campi e di momenti di condivisione. La reciprocità che racconta con nostalgia lascia in realtà ancora i suoi segni in Valtellina, sebbene oggi la comunità che ruota intorno alle tradizioni contadine e segnatamente cerealicole sia molto più affievolita e frammentata. 
Lo spopolamento delle frazioni come San Rocco e la perdita di importanza dell’economia di sussistenza hanno inciso su una grande trasformazione nel senso delle pratiche cerealicole e nella sua comunità di pratiche. Oggi Lino, vicino ai 90 anni, dopo essere stato mugnaio del Mulino Menaglio e aver passato il testimone al più giovane Mario, è una delle colonne portanti dell’Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali alpini tradizionali, fondata nel 2008 da un gruppo di agricoltori e appassionati locali. Al suo interno gli anziani partecipano attivamente come testimoni delle pratiche tradizionali, continuando a portarle avanti ogni anno a livello familiare o individuale, mentre le generazioni più giovani cercano di reinterpretare il passato in una chiave più contemporanea, attuando lo sforzo di produrre per la prima volta anche nell’ottica di commercializzare il prodotto. La nascita di diverse nuove aziende agricole a vocazione cerealicola, come Raetia Biodiversità, Orto Tellinum o l’azienda di Andrea Fanchi (presidente dell’associazione) testimoniano di uno sforzo comune, concentrato soprattutto nella zona di Teglio, per riportare in vita le coltivazioni tradizionali di segale e grano saraceno. 
Chi oggi torna alla coltivazione dei cereali fa i conti però con un mondo che è completamente cambiato. Alla solidarietà associata dagli anziani al passato si sono sostituite forme di individualismo più contemporanee che rendono talvolta difficile collaborare. Oggi infatti sul territorio si riscontrano ancora alcune difficoltà a costruire un sistema più cooperativo, che permetta agli agricoltori di condividere ad esempio i costi di acquisto dei macchinari.
Il ritorno alla cerealicoltura è in ogni caso un fenomeno di origine relativamente recente e richiede tempo e risorse per trovare soluzioni adatte al contesto attuale. Oltre alle iniziative imprenditoriali, diverse manifestazioni culturali e occasioni di legame contribuiscono oggi a valorizzare e a riconoscersi in un patrimonio condiviso, sempre più apprezzato negli ultimi anni grazie a una ritrovata sensibilità per il valore dei cereali locali e la promozione della biodiversità. Dal questo punto di vista la Chiesa cattolica stessa, con parrocchie e oratori, e l’Associazione Nazionale Alpini rivestono un ruolo importante nel fornire spazi e occasioni di incontro quali eventi e feste per la valorizzazione dei prodotti e delle ricette locali.

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

Uno tra i principali organismi che si occupano di salvaguardare la coltivazione e la trasformazione dei cereali antichi in Valtellina è l'Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali alpini tradizionali, nata nel 2008 da un gruppo di agricoltori e abitanti locali con lo scopo di salvaguardare il patrimonio agricolo e culturale legato ai cereali antichi e, in particolare, a grano saraceno e segale: “Nel 2008 è nata l'associazione. Tutti i membri stanno portando avanti l'idea di tramandare le nostre tradizioni, di portare avanti un prodotto e una filiera, e di lavorare tutti insieme”. [Fabio] Attualmente l’associazione è presieduta da Andrea Fanchi, uno dei maggiori più grandi produttori di cereali della zona.
Nonostante le azioni positive dell’associazione, soprattutto nell’ottica di valorizzare il patrimonio legato alle pratiche agricole e la cultura locale, mancano in Valtellina strumenti aggregativi e istituzionali che permettano di rafforzare la filiera e di promuovere la produzione locale. L’ex presidente dell’associazione, Riccardo Finotti, lamenta infatti nel suo racconto la mancanza di un organismo più strutturato: “La cosa bella sarebbe proprio una cooperativa o un disciplinare, in modo che il prodotto della cooperativa rispetti determinate caratteristiche e sia il migliore possibile.
Sul territorio della media Valtellina, tra le azioni più recenti di valorizzazione della segale e del grano saraceno e di promozione della biodiversità locale, si segnala il progetto ConserVa (Conservazione, gestione ed uso sostenibile delle risorse genetiche di grano saraceno e segale in Valtellina), realizzato tra il 2019 e il 2022 con lo scopo di valorizzare e conservare gli ecotipi più antichi di grano saraceno e segale per favorirne il rilancio nella filiera agroalimentare. Il progetto, finanziato da Regione Lombardia, è stato guidato da un ampio partenariato, composto da diversi attori locali e con capofila l'università Bicocca. 
Dal punto di vista commerciale, una giovane realtà che in Valtellina sta contribuendo alla valorizzazione dei prodotti agricoli locali è Butéga Valtellina. Nata nel 2018 dall’idea di tre ragazzi originari della Valle, “Butéga Valtellina è una startup che si occupa di innovare la filiera agroalimentare valtellinese supportando e promuovendo le piccole realtà produttive eroiche, aggregandole in una rete di imprese. Si tratta di un’azienda che fornisce agli agricoltori servizi di accompagnamento e consulenza e promuove attraverso la commercializzazione i prodotti agricoli locali. Patrizio Mazzucchelli di Raetia Biodiversità spiega qui come usufruisce dei servizi di Butéga Valtellina, dalla consulenza al confezionamento dei prodotti, alla presa di contatto con i ristoratori locali: Oggi tre ristoratori dell'alta Valle anche di Livigno prendono i miei prodotti grazie alla collaborazione con Butéga. Noi diamo il prodotto a Butéga, loro lo presentano e convincono i ristoratori a prendere dei prodotti che costano di più però di cui si rendono conto del valore.”

MISURE DI SALVAGUARDIA

Una delle più importanti forme di riconoscimento per la salvaguardia della cultura alimentare locale riguarda la gastronomia valtellinese e segnatamente il suo piatto più celebre, il pizzocchero di Teglio, la tipica tagliatella a base di grano saraceno. La ricetta dei pizzoccheri  è riconosciuta dal 2016 con il marchio di “Pizzoccheri della Valtellina IGP”. Secondo il disciplinare stilato dall’Unione Europea, l’indicazione geografica protetta “è riservata alla pasta alimentare, sia come pasta secca che fresca, derivata dall'impasto di grano saraceno, «Fagopyrum esculentum», e sfarinati di altri cereali, che risponde alle condizioni e ai requisiti indicati dal presente disciplinare di produzione.” (Art. 1). Della salvaguardia del marchio valtellinese si occupa del 2018 il Consorzio di Tutela dei Pizzoccheri della Valtellina IGP composto da Gastroval, Pastai in Valtellina, Pastificio di Chiavenna, Pastificio Valtellinese e Raviolificio Dei Cas.
Un’importante forma di riconoscimento di grano saraceno e segale è rappresentata inoltre dai progetti di ricerca e analisi genomica delle specie locali. Uno di questi, REliVE-L, finanziato da Regione Lombardia con fondi dell’Unione Europea, è stato concluso nel 2015 grazie a una collaborazione tra agricoltori di Teglio, l'Università della Montagna e la Bicocca di Milano, dipartimento di Scienze della Terra e quello di Botanica a Pavia. Il lavoro ha portato a una pubblicazione a cura del professor Graziano Rossi sulle varietà agronomiche lombarde tradizionali a rischio di estinzione o di erosione genetica tra cui sono state elencate alcune specie valtellinesi: “questa pubblicazione ha all'interno le tre varietà di grano saraceno che abbiamo salvato, la nostra segale e l'ultimo è l'orzo di Valtellina, la dumega[Patrizio]. 
Proprio grazie a questo programma (PSR) gli agricoltori valtellinesi hanno potuto beneficiare di finanziamenti, fino a 7 milioni di euro tra Valtellina e Valchiavenna in 7 anni, per sostenere le proprie imprese, anche in ambito cerealicolo.  Il PSR in Lombardia ha posto particolare attenzione al miglioramento della competitività nel settore agricolo sul ripristino e alla conservazione e la valorizzazione degli ecosistemi. Il sostegno finanziario era in particolare rivolto agli investimenti per ristrutturare e modernizzare le aziende agricole o per la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. 
Esistono anche altre forme di finanziamento locale che sostengono specificatamente la coltivazione dei cereali tradizionali. Sia il comune di Teglio che il comune di Tirano infatti hanno previsto il riconoscimento di contributi specifici per chi coltiva grano saraceno, orzo o segale. Il comune di Teglio, in particolare, dove si concentra la maggior parte dei campi, ha redatto un regolamento per cui il premio è legato all’estensione del campo coltivato terreno coltivato a segale, grano saraceno (furmentun), orzo (dumega) e frumento. Il regolamento prevede il vincolo alla doppia rotazione annuale, per ottenere in ogni anno agrario, due prodotti di cui uno di segale o di orzo e l’altro di grano saraceno. La coltivazione deve essere situata in zona idonea di costa compresa tra i 500 ed i 1000 metri in sponda retica e tra i 450 e i 1250 metri in sponda orobica.

Per sapere di più

Siti web

Beni materiali

Nonostante le innovazioni delle iniziative agricole recenti, i metodi tradizionali di coltivazione e di lavorazione dei cereali non sono andati perduti in Valtellina: coltivatori di diverse generazioni continuano infatti a praticare isolatamente le antiche tecniche di semina, raccolta e battitura. Mario, mugnaio di San Rocco tellino, lavora tutto ancora a mano: “Noi tutto a mano, tagliamo la segale il mese di luglio a mano. Facciamo poca roba ma lo facciamo come una volta. E poi battiamo col fièl.”Dopo il taglio, con la falce, il grano saraceno viene raggruppato in piccoli covoni (casèle) che restano sul campo ad essiccare. La battitura si caratterizza in questa zona per l’uso del fièl, un particolare bastone alla cui estremità è attaccato con una corda un altro cilindro di legno, con cui si colpiscono i covoni di grano saraceno riposti su appositi teli, le pelorsce. Per la segale invece il procedimento tradizionale prevede che dopo la mietitura si portino i covoni in solai ben arieggiati per completare l'asciugatura: qui vengono posizionati con le spighe verso l’alto, appoggiate alle pareti. Una volta che le spighe sono diventate sufficientemente secche, si procede alla battitura, che avveniva direttamente picchiando i mazzi contro una superficie di legno, Si portava poi il grano dal mugnaio per ricavarne la farina per l’uso domestico. A spazi e tecnologie del passato oggi in Valtellina si integrano le innovazioni del presente, che permettono agli agricoltori di gestire meglio i diversi passaggi della coltivazione dei cereali, servendosi dell’ausilio di alcuni macchinari. Nel passaggio che segue, il racconto di Andrea Fanchi, uno dei più grandi cerealicoltori del territorio di Teglio, che spiega della sua necessità di passare a un processo sempre più meccanizzato, ma che sia in armonia con le caratteristiche del territorio: “Ho meccanizzato un po’ finché adesso sono arrivato alla semina col trattore, la raccolta con la mietitrebbia, è stata una l'anno scorso più piccola perché quella grossa era difficile andare in certi campi. Mi arriva l'essiccatoio a fine mese. Ho cercato di creare tutta la filiera completa anche col mulino.” 

A cura di

Meraki - desideri culturali (per Regione Lombardia) - Lorenzo Caglioni e Naima Comotti

Data di pubblicazione

04-NOV-2022 (Naima Comotti)

Ultimo aggiornamento

31-DEC-2022 (Agostina Lavagnino)

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