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    Una selva castanile in una foto d‘epoca - Gabriele Antonioli
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    Costruzione artigianale di una gerla per la raccolta delle castagne, a partire dagli "scudésci", listarelle di legno di nocciolo - Gabriele Antonioli
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    Un‘anziana raccoglie una ghéda (grembiulata) di castagne - Gabriele Antonioli
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    Pulitura delle castagne con sciuca e pisùn - Mario Motalli
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    Castagno secolare di Castello dell‘Acqua nella stagione invernale - Renato Gregorini
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    Castanicoltura - Naima Comotti
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    Albero di castagno mantenuto nonostante la costruzione del muretto - Andrea Ghilotti
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    Ricci di castagne in tarda estate - Naima Comotti
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    Albero di castagno in tarda estate - Naima Comotti
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    Wilma Tuia mostra la tipica padella dei brasché - Lorenzo Caglioni
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    Castagne nel forno - Lorenzo Caglioni
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    Wilma Tuia versa le castagne dalla sua cavagna (cesta) nella sciuca, prima della pesta - Lorenzo Caglioni
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    La sciuca e il pisùn per la sbucciatura delle castagne - Lorenzo Caglioni
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    La grà, grata su cui vengono poste le castagne al di sopra di un focolare posto al livello inferiore - Lorenzo Caglioni
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    Vecchio forno per la cottura di pane e castagne a Castello dell‘Acqua - Lorenzo Caglioni
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    Il rampelin, tipico coltellino per raccolta e sbucciatura delle castagne - Lorenzo Caglioni
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    Castagno secolare nella zona di Grosio - Lorenzo Caglioni
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    Gerli nel solaio di Mario a Baruffini - Lorenzo Caglioni
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    Preparazione di una ricetta a base di castagne, il turbulin - Lorenzo Caglioni
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    Mario Della Vedova mostra le sue castagne nel solaio a Baruffini - Lorenzo Caglioni
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    Il turbulin, ricetta a base di farina bianca, farina gialla, latte e castagne - Lorenzo Caglioni
  • 1960
    2021
    2022

Castanicoltura in Valtellina

(i castègn)

La castagna in Valtellina ha rappresentato fino al secondo dopoguerra un frutto destinato principalmente all'alimentazione umana, ma anche - soprattutto in alcune zone - a quella animale. A seconda della posizione nella valle, si sono sviluppate tradizioni e tecnologie di trasformazione e di cottura specifiche che hanno facilitato il processo di raccolta, la conservazione e il consumo di questo frutto. Nei ricordi degli anziani cresciuti sul versante retico della Valtellina, la castagna non era un alimento fondamentale, data la disponibilità di cereali, che crescevano più facilmente sui terrazzamenti baciati dal sole tutto l’anno. Era qui che le castagne venivano impiegate anche per l’alimentazione del bestiame: “Qua ne avevamo tutti. La necessità però non era tanto di far farina o altro, era piuttosto per l'alimentazione del bestiame e del maiale in particolare.” [Mario]. A dispetto del ricordo di un’infanzia dove le castagne erano un “di più”, Mario oggi è uno dei coltivatori amatoriali più attivi in Valtellina e da vent’anni ha riconvertito un vigneto in castagneto, con castagni innestati da lui stesso. Diversa è l’esperienza di Lina, 78enne di Castello dell’Acqua, che ricorda un’infanzia in cui le castagne erano davvero un sostegno per l’alimentazione quotidiana, soprattutto nelle famiglie più povere che non potevano permettersi molta farina: In autunno si mangiavano tutti i giorni. I miei genitori erano poveri, però riuscivano ad avere la farina per fare la polenta, ma tanti a cui mancava la materia prima a mezzogiorno facevano una padella di caldarroste e quello era il pranzo. Senza aggiunte. La castagna era un nutrimento. Ai tempi vivevano di castagne, noci, patate e fagioli. Poi alcuni avevano il grano saraceno e la segale.
Per centinaia di anni la castagna è stata una fonte di sostentamento fondamentale sulla costa ombrosa della valle, quella orobica, orientata verso nord, proprio dove Lina è nata e cresciuta. Qui i castagneti si sono sviluppati con facilità, in quanto alberi adatti alle zone ombrose e ai terreni scoscesi di questo versante. Ancora oggi i castagni formano una linea boschiva continua da Morbegno a Sondalo: si concentrano soprattutto tra i 400 e i 700 metri s.l.m. ma talvolta si spingono oltre, fino a 900 metri e in basso fino a fondovalle. Sul lato retico invece, a solivo, si sono concentrati gli insediamenti umani, ma anche i vigneti, organizzati sui terrazzamenti insieme ad alberi da frutto e campi di orzo, segale e saraceno (oggi meno presenti che in passato). Il versante orobico ha dunque saputo sfruttare la possibilità di coltivare il castagno, che si è sempre rivelato un albero particolarmente produttivo, capace di sfamare molte persone. Anche nei coltivatori delle nuove generazioni, come Andrea, 50enne appassionato coltivatore grosino, resta il ricordo di un alimento che, insieme al grano saraceno e alla segale, ha contribuito a sfamare generazioni di valtellinesi: Dalla castagna una volta dipendeva la sopravvivenza di molti. Bisogna pensare che, a parità di superficie, il castagneto produce di più sia della segale che del grano che di qualsiasi altra coltura. In questa zona molte volte ci si concentra su coltivazioni quali la patata, il mais, ma sono tutte colture che sono arrivate qui dopo la scoperta dell'America, mentre il castagno era già presente. Prima di tutto, gli alberi di castagno crescono anche in terreni scoscesi che non possono essere lavorati per altre coltivazioni, in terreni marginali. A parità di superficie il castagno inoltre produce calorie, è un alimento ricco di ferro, di vitamine. La castagna ha rappresentato la sopravvivenza una volta, si potrebbe quasi dire che il castagno fosse un albero sacro. In dialetto il castagno si chiama infatti “arbul”, vuol dire albero: è l'albero per eccellenza, un albero che più albero non si può! Lo chiamavano per questo l'albero del pane.”
La presenza del castagno in Valtellina affonda le sue radici probabilmente nel Medioevo, come testimoniato da alcuni castagni secolari di almeno 700 anni. In passato questo alimento in alcune zone ha infatti costituito una fonte di nutrimento indispensabile, tanto che si sono sviluppate delle tecniche di conservazione e di cottura delle castagne che ne hanno permesso l'utilizzo per tutto il corso dell'anno. Le tradizioni legate alla castagna a partire dal secondo dopoguerra sono andate via via diminuendo d’importanza dal punto di vista della necessità alimentare, ma si sono conservate grazie alla passione di alcuni individui e famiglie che hanno saputo conservare le selve castanili e hanno continuato per affezione a praticare le tradizioni legate alla coltura, alla conservazione e alla cottura delle castagne. La cura della selva castanile in Valtellina era basata su un’organizzazione ordinata dello spazio e su una pulizia costante del sottobosco. La selva di proprietà era infatti organizzata con i termen (i termini), segnali in pietra che definivano i confini dell’appezzamento per distinguere le proprietà e suddividere il raccolto.
Oggi il paesaggio Valtellinese vede un progressivo abbandono delle selve castanili, nonostante il grande potenziale del territorio a livello di dimensioni e di caratteristiche che favorirebbero lo sviluppo di questo tipo di coltivazione. Nondimeno delle piccole eccezioni di appassionati della castagna e piccoli coltivatori sia amatoriali che professionisti permette di intravedere in valle dei segni di ripresa e di innovazione. In questo senso, sebbene non si possa ancora parlare di una vera e propria filiera, esistono esempi di persone di diverse età che si impegnano nella coltivazione e lavorazione del prodotto, fino in alcuni casi alla vendita grazie ai canali che si stanno negli ultimi anni sviluppando, come ad esempio Butéga Valtellina, giovane realtà imprenditoriale con sede a Tirano, che si occupa di valorizzare, comunicare e affiancare aziende agricole locali.
Le pratiche e le tradizioni legate alla castagna in Valtellina attraversano tutte le stagioni, ma si concentrano prevalentemente in autunno, nel mese di ottobre in particolare, quando avviene la raccolta e iniziano i processi di conservazione, cottura e trasformazione.  Lungo tutto l’anno si articolano però tutte le pratiche legate alla coltivazione del castagno e alla cura della selva castanile. Dopo la raccolta autunnale, con la caduta delle foglie inizia il periodo della pulizia della selva, con la raccolta del fogliame secco, fase cruciale per garantire una buona qualità della castagna e per evitare la diffusione di insetti nocivi: Inizio a pulire dalla fine della caduta foglie, dalla fine della raccolta. Pulisco tutte le foglie e i ricci, così si sviluppano meno malattie e meno insetti al loro interno. Se tu pulisci, il terreno riesce a gelare, e probabilmente gli insetti muoiono e non si sviluppano in farfalla. È anche per questa ragione che una volta i castagni non venivano attaccati da così tante malattie, perché il fogliame dei castagni veniva raccolto tutto per fare letame e per fare il letto per le mucche.” [Mario]
Verso la fine dell’inverno si procede con le potature, mentre nel mese di aprile si fanno gli innesti. Dalla primavera l’albero procede da solo e l’attività del coltivatore consiste solo nel prendersi cura del prato. Il periodo tra la primavera e l’estate è particolarmente delicato e le eventuali intemperie possono influire negativamente sulla produzione. Piogge troppo abbondanti o violente possono infatti rovinare i fiori e impedire al riccio di svilupparsi correttamente e all’albero di garantire una normale fertilità. La raccolta infine avviene tradizionalmente intorno al 25 settembre, o al più tardi verso l’inizio del mese di ottobre.
Le stagioni, tuttavia, non scandiscono solo il ritmo della coltivazione del castagno, ma anche le pratiche legate alla conservazione e alla cottura della castagna, più sviluppate sul versante orobico, meno adatto ad altre coltivazioni. Questo è il caso del paese di Castello dell’Acqua, dove in alcune frazioni si trovano ancora le grà, ambienti forniti di una grata posta al di sopra di caminetti per l’affumicatura delle castagne, che vengono poste per diversi mesi proprio su questa griglia per poter essere conservate: Le castagne venivano fatte cuocere nel forno, sulla brace o anche cotte nell'acqua: venivano buone anche in quest’ultimo modo, però erano più morbide dei brasché [le caldarroste]. Poi il resto delle castagne veniva messo sulla grà per farlo essiccare. Queste venivano mangiate o date al maiale quando si prendeva l'anno dopo. Ci vogliono 4-5 mesi per seccare le castagne sulla legna, col fumo e utilizzando gli scarti delle bucce delle castagne dell'anno prima. Una volta secche, di solito si pestavano a febbraio-marzo quando c'era quel venticello che garantiva che rimanessero belle secche…”. [Wilma]
L'essiccazione e l’affumicatura sulla grà garantisce una conservazione durante tutto l’anno e la castagna secca (sulla grà o essiccata in solaio in altre zone) può essere utilizzata anche come alimento per il bestiame, in particolare per il maiale. La fine dell’inverno segna per questo tipo di tradizione il momento della pesta, che trasforma il frutto, sbucciandolo, nella così detta “castagna bianca”. Altre pratiche di conservazione prevedevano di porre le castagne in cestini che venivano appesi in appositi locali o direttamente stesse sulla superficie del solaio per qualche settimana o mese per fare le castagne bollite (ferudi o bellegotti) o per fare i bescocc, le castagne al forno. I bescocc venivano fatti a partire dall’inverno inoltrato, quando le castagne erano diventate completamente secche. Una volta cotti in forno, venivano talvolta posti in cantina, in alcuni casi tra le foglie e si conservavano durante l’estate, a disposizione per essere mangiati freschi. Questo accadeva in particolare in primavera e all’inizio dell’estate, fino all’esaurimento delle scorte di castagne con buccia.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Il legame storico del castagno con la Valtellina è testimoniato dalla presenza in vita di alcuni esemplari molto antichi, come il castagno di Bedignolo, nel comune di Grosio, che ci permette di ipotizzare una presenza di questo esemplare già nel medioevo. La datazione del “colosso” di Bedignolo, si potrebbe aggirare intorno agli 800 anni di età, sebbene ufficialmente l’albero potrebbe avere tra i 300 e i 1000 anni. La presenza del castagno in Valtellina nel medioevo è confermata da documenti storici che risalgono al tredicesimo secolo, anche se nelle Alpi è presente almeno dai tempi dei Romani. Alcuni fossili lombardi fanno persino pensare che il castagno sia autoctono.
Le tracce del castagno non sono presenti soltanto nel paesaggio, ma sono radicate nella cultura e nel dialetto dei valtellinesi, tanto che il castagno in Valtellina viene chiamato arbul, l’albero per eccellenza, e il castagneto selva, bosco per antonomasia. Giancarla Maestroni, tellina autrice di articoli sulla storia e la cultura della Valtellina, racconta nella dell’importanza della castagna soprattutto sul lato retico della valle, dove i cereali erano meno disponibili: Nella parte retica la castagna era un di più, quando c’era un’annata con un raccolto più scarso, di grano saraceno. di segale e di orzo, allora integravi con la castagna, immediatamente utilizzata: cotta come caldarrosta o lessata come si conosce attualmente l'uso, mentre nel versante orobico c'era proprio tutta una filiera importante: veniva raccolta, avevano i gratt, un edificio apposito a due piani, sotto si faceva il fuoco e sopra si mettevano le castagne che venivano essiccate così che dopo fosse più facile togliere la buccia. Quindi poi queste castagne venivano addirittura macinate oppure cotte nel latte oppure si faceva tutta una serie di ricette.”
Le tradizioni legate alla castagna si sono tramandate nei secoli fino ai giorni nostri, ma hanno vissuto un grande cambiamento nel periodo post-bellico, quando il boom economico ha portato molti valtellinesi a cercare lavoro nelle zone più industrializzate del fondovalle o anche a lasciare la Valtellina. Proprio tra gli anni ‘60, ‘70 e ‘80 le selve castanili valtellinesi hanno visto la più grande fase di abbandono e con questo anche le tradizioni legate alla castagna hanno rischiato di andare perdute. Ecco il racconto di Andrea che ha vissuto negli anni della sua infanzia questo drastico cambiamento: Sono nato nel periodo dove le selve sono state un po' abbandonate, perché fino agli anni ‘60-‘70 erano ancora curate e dopo sono state abbandonate nei successivi vent'anni, fino agli anni ‘90. In seguito, è iniziato invece un recupero delle selve attraverso un progetto Interreg che ha visto il risanamento delle piante secolari.
Oggi una rinnovata consapevolezza del grande valore naturalistico, alimentare e culturale della castanicoltura valtellinese ha portato alcuni abitanti a riavvicinarsi al mondo della castagna. Progetti interregionali e finanziamenti pubblici sono una risorsa negli ultimi anni sia per il recupero delle selve castanili, sia per la valorizzazione in chiave turistica e culturale. Oltre a ciò, in Valtellina si intravedono i primi segnali e tentativi da parte di alcune persone, tra cui anche qualche impresa giovane, di trasformare la filiera domestica in una filiera più orientata alla commercializzazione.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

La castagna in Valtellina è sempre stata un prodotto legato all’economia familiare. Anche i metodi di trasmissione dei saperi, pertanto, presentano un carattere prevalentemente familiare: dai genitori ai figli, o dai nonni ai nipoti, all’interno di abitudini e pratiche segnate da rapporti di parentela. Lo testimonia Marco Paganoni sulla castanicoltura: “Ho imparato in ambito familiare, cresci in una famiglia che generalmente ha sempre fatto quei piccoli lavoretti in agricoltura. Una volta tutti avevano la loro attività lavorativa da cui veniva il grosso del sostentamento familiare, ma comunque all'interno della famiglia c'erano le attività agricole. Mio nonno ha sempre avuto le sue mucche, le sue vigne, i suoi prati da sfalciare. Non come attività prevalente. Erano aiuti al sostentamento familiare. Era una filiera domestica. Aveva il suo senso.”
La filiera “domestica” di cui parla Marco ha permesso per secoli a molte famiglie allargate di essere autonome. Avere qualche castagno, un campo, un maiale, le mucche permetteva di avere indipendenza alimentare ed energetica. L’apprendimento si collocava dunque, fino alle generazioni più recenti, in un contesto di aiuto reciproco, in cui i più giovani “davano una mano” ai più anziani e allo stesso tempo apprendevano le tecniche agricole nella pratica e grazie a osservazione e imitazione. Nella storia di Wilma, che porta avanti ancora le tradizioni più antiche di trasformazione delle castagne, i ricordi di ciò che facevano i suoi genitori le permette ancora oggi, passati i 60 anni, di imitarne le azioni, in armonia con i segnali della natura: “In questo momento del venticello a febbraio o marzo togliamo la buccia alle castagne. Facciamo il fuoco per tre o quattro mesi, più che fuoco è fumo. Però dopo non è che seccano tutte bene. Invece quando c'è il venticello vengono ancora più secche e mettendole nella sciuca si puliscono meglio pestandole. Io ho imparato dai miei genitori anche loro facevano così: “Marzo pazzerello con il vento con l'ombrello…”. Io sempre seguito quello che mi hanno insegnato i miei genitori.”
Oggi suo nipote porta avanti la tradizione in maniera diversa, sempre in stretto legame con la famiglia: Denis è protagonista di un cambiamento e sta iniziando col padre a commercializzare la farina di castagne grazie all’ideazione di alcune nuove tecnologie, andando nella direzione di una filiera diversa, orientata non più solo al contesto domestico, ma anche alla commercializzazione. Tuttavia, nel suo racconto e nella sua esperienza, resta un forte legame con il contesto e le tradizioni apprese in famiglia: “La parte di potatura la fa mio papà, l’ha imparata da piccolo. Comunque essendo del ‘66, fino a 20 anni, che è andato a lavorare, andava a dare da mangiare alle mucche, faceva il fieno, faceva i lavori di una volta.
La famiglia, tuttavia, non è l’unico veicolo di apprendimento. In alcuni casi le tradizioni apprese in famiglia o nella comunità si arricchiscono con conoscenze acquisite personalmente, in studi personali o scolastici, come nel caso di Andrea, che grazie al diploma di perito agrario e a continue ricerche, ha appreso tecniche di innesto e coltivazione del castagno: “La scuola mi ha dato molto, anche se poi non ho fatto l'università, però ti forma in quel settore. Quando facevo le mie cose la formazione ce l'avevo. Per innestare avevo imparato a scuola, non avevo però mai messo in pratica.”

COMUNITÀ

Nonostante l’enorme potenziale del territorio, oggi la castanicoltura in Valtellina rimane un’attività ridotta, custodita nella memoria popolare e mantenuta in alcune famiglie, più per passione individuale che per un progetto comune. Eppure ogni anno si ripete la tradizione della raccolta delle castagne e alcune famiglie portano avanti con coraggio le pratiche di raccolta e trasformazione apprese direttamente da genitori e nonni. La castanicoltura resta oggi legata in molti casi alle tradizioni familiari, che molti adulti ricordano ripercorrendo alcuni momenti della propria infanzia, come nel caso di Anna, ristoratrice tiranese: “Io mi ricordo da bambina questa cosa delle castagne: andavamo a raccoglierle e il nonno ogni tanto, circa ogni due giorni, puliva la selva da tutte le foglie, tanto che sembrava un giardino. Noi poi raccoglievamo le castagne che erano tante e, una volta, erano anche molto belle. Si raccoglievano sacchi pieni di castagne. Dopo di che il nonno e la nonna portavano queste castagne al forno, perché lì a Grosotto c'erano due forni per essiccarle.”
Il legame con il contesto familiare è radicato nella cultura popolare, in cui la selva castanile era una risorsa per la famiglia. Fino al recente abbandono delle selve, avvenuto a partire dagli anni ‘60, la maggioranza dei nuclei familiari aveva infatti un piccolo castagneto di proprietà di circa 3-4 piante in media. Esso consentiva di mantenere giusto i membri della famiglia e di nutrire il bestiame, come emerge nel racconto di Andrea: “Se si va a fare l'analisi dei terreni catastalmente e fa la media della superficie di un castagneto, un castagneto da frutto in questa zona è 3-400 metri al massimo, vuol dire 3-4 piante, la media è quella lì. Ogni famiglia aveva un castagneto di quella dimensione, che consentiva di raccogliere le castagne per uso personale per tutta la famiglia e per alimentare i maiali e le vacche. Non era una dimensione che ti permetteva di vendere o di commercializzare.
Il patrimonio condiviso della castanicoltura però si spinge in Valtellina ben oltre i confini dei legami di sangue e lega da sempre gli abitanti in rapporti di reciprocità e scambio che definiscono le comunità dei villaggi, ma anche la solidarietà valtellinese capace di unire i due lati della valle. La castagna infatti, prodotta in grande quantità nelle grandi selve del versante orobico, veniva scambiata spesso ad esempio con il vino, prodotto nelle vigne del versante retico. Le relazioni e i rapporti spontanei si combinano in Valtellina con l’identità cattolica del territorio. La presenza della Chiesa permette non solo alle persone di incontrarsi frequentemente nella parrocchia e nell’oratorio locale, ma anche di organizzare eventi come castagnate e sagre, ospitate spesso nei medesimi spazi, che costituiscono ancora oggi, per credenti e non credenti, dei luoghi di aggregazione.
Oltre alla comunità che da generazioni custodisce e tramanda il patrimonio culturale legato alla castagna, oggi ci sono nuove forme di aggregazione, favorite ad esempio da gruppi facebook di appassionati del castagno, dove alcune persone hanno avuto modo di conoscersi e scambiarsi informazioni scoprendosi appassionate a pochi chilometri di distanza ma senza essersi mai incontrate prima. La comunità che ruota intorno alla castanicoltura si consolida anche grazie alla presenza di un tessuto associazionistico e di realtà commerciali che stanno crescendo negli ultimi decenni.

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

Dal punto di vista commerciale, una realtà che in Valtellina sta contribuendo alla valorizzazione dei prodotti agricoli locali è Butéga Valtellina. Nata nel 2018 dall’idea di tre ragazzi originari della Valle, Butéga Valtellina è una startup che si occupa di innovare la filiera agroalimentare valtellinese supportando e promuovendo le piccole realtà produttive eroiche, aggregandole in una rete di imprese (dal sito web Butégavaltellina.com). Si tratta di un’azienda che fornisce agli agricoltori servizi di accompagnamento e consulenza e promuove attraverso la commercializzazione i prodotti agricoli locali. Nelle parole di uno dei fondatori, il racconto delle prime fasi di realizzazione di questo progetto, nato dall’incontro tra le competenze dei giovani imprenditori, il bisogno di vecchi e nuovi contadini e il potenziale della valle: Alla fine del 2016 tutti e tre noi fondatori abbiamo finito il nostro percorso universitario e abbiamo deciso di tornare a vivere in Valtellina. Io ho studiato economia con curriculum marketing, Mattia ha una laurea in design della comunicazione, Francesco ha una formazione di design  industriale, ma poi e' diventato chef. Noi tre, amici fin da piccoli, abbiamo quindi deciso di tornare: ci siamo ritrovati in una situazione in cui spesso persone con imprese del territorio ci chiedevano di fare il logo, di aiutarli a vendere, di supportarli o consigliarli. Lì abbiamo capito che c’era un’opportunità e un bisogno. Ci mancava quindi l’occasione di mettere a sistema le nostre idee e si e’ presentata nel 2017 quando abbiamo visto la Call di Restartalp, abbiamo fatto le selezioni e siamo stati selezionati.” [Giorgio]
Da qui nasce il percorso di Butéga, che a quattro anni dal suo avvio, oggi costituisce un punto di riferimento fondamentale per molti agricoltori valtellinesi. Per le aziende agricole locali la startup valtellinese è una vera e propria risorsa, anche nell’ambito della castanicoltura, che resta ancora una delle filiere in via di sviluppo. Uno degli agricoltori coinvolti è Simone Antonioli, che racconta dell’importanza del lavoro di Butéga per la consulenza su come sviluppare il mercato e su che tipo di produzione di focalizzarsi: Butéga Valtellina va a individuare i produttori che lavorano in un certo modo, che fanno dei prodotti che utilizzano zero chimica, naturali al 100%. Ritira il prodotto e poi dopo lo piazza sul mercato con i suoi metodi, ad esempio attraverso sponsorizzazioni e altri canali. Successivamente il prodotto va sul mercato, in parte valtellinese, ma anche su un mercato più ampio tramite spedizioni e fiere. La composta di castagne che abbiamo fatto con Butéga risulta particolarmente apprezzata. È un prodotto che a me conviene perché, dopo aver fatto una cernita delle castagne che vengono date alle pecore, il resto viene utilizzato per fare questa composta, facendole essiccare e poi lavorando il prodotto.”
Dal punto di vista invece della valorizzazione culturale della castagna, in Valtellina si svolgono alcune piccole manifestazioni annuali concentrate nel mese di ottobre, come sagre della castagna e castagnate. Si tratta spesso di eventi promossi dalla parrocchia o dall’oratorio a livello locale e poco sponsorizzati. Alcuni esempi sono la Sagra della castagna di Castello dell’Acqua, la Sagra della castagna a Rasura, la Castagnata di Migiondo (comune di Sondalo). Alla Sagra delle castagne e dei funghi di Castello dell’Acqua si propongono delle visite guidate alla pila delle castagne e al mulino, delle bancarelle, le caldarroste e un menù dedicato alla castagna.
Importante ancora per la valorizzazione del patrimonio castanile il lavoro di promozione e sensibilizzazione di alcune associazioni locali. Tra queste spicca l’azione di PatriMont, gruppo regionale della rete per la conservazione del patrimonio delle montagne; TerrAlpina, cooperativa coordinata da Marco Paganoni impegnata nel censimento dei castagni secolari e nella difesa del patrimonio delle selve valtellinesi; l’Associazione Castanicoltori Lario Orientale, un’associazione di promozione sociale che ha come missione la custodia delle piante madri e degli esemplari monumentali, il consolidamento e la difesa delle selve coltivate, il recupero delle vecchie selve, la promozione culturale della castanicoltura.

MISURE DI SALVAGUARDIA

In Lombardia il castagneto da frutto (anche quello in attualità di coltura) è considerato bosco, agli effetti di legge (Art. 42 della L.R. 31/2008): è pertanto sottoposto a vincolo paesaggistico e la trasformazione di un castagneto in altra coltura è considerata trasformazione di bosco, punibile per legge se non autorizzata. Viceversa, secondo il regolamento regionale anche piantare nuovi castagni in area coltivabile può causare problemi. In altre regioni italiane la normativa è differente. Il testo unico forestale valido su tutto il territorio nazionale all’Art. 5 esclude dalla definizione di bosco il castagneto da frutto in attualità di coltura, entrando in netta contraddizione con la legge della Regione Lombardia. Le linee guida nazionali prevedono l’esonero dagli interventi di compensazione per la trasformazione di un bosco in castagneto da frutto. Anche dalla lettura del Regolamento regionale 5/2007 della Lombardia si intuisce che il castagneto da frutto è considerato qualcosa di diverso da un normale bosco, qualcosa a metà strada tra bosco e frutteto. Infatti questo regolamento dedica un intero articolo (Art. 31) alla gestione dei castagneti da frutto e altri articoli (ad es. il 24 e il 29) prevedono eccezioni per i castagneti.
Queste discrepanze e differenze normative tra livello regionale e nazionale costituiscono oggi ambivalenze che interessano direttamente i coltivatori e rischiano di inibire lo spirito di iniziativa degli stessi. Per quanto riguarda le misure di aiuto ai coltivatori del castagno, un tema fondamentale negli ultimi trent'anni è stato quello della manutenzione delle selve. A partire dagli anni Novanta sono state attuate alcune iniziative per il recupero dei castagneti finanziate con un progetto Interreg sviluppato con la Valposchiavo e con le Misure Forestali di Regione Lombardia. Attualmente invece l’unica misura attiva a livello regionale per i castagneti è l’Indennità compensativa per le aree svantaggiate di montagna (misura 13 del P.S.R.) che prevede forme di finanziamento per sostenere l'agricoltura di montagna, previste per chi coltiva attivamente almeno 5000 mq di castagneto. Secondo le testimonianze raccolte, restano ad oggi esigue le domande in Valtellina su questa misura. A livello nazionale è stata presentata recentemente in Parlamento una proposta di legge (C.1650) sulla promozione della castanicoltura per definire le “Norme per favorire lo sviluppo e la valorizzazione della castanicoltura sostenibile, il recupero della coltivazione dei castagneti, la prevenzione dell’abbandono colturale e la promozione della filiera produttiva castanicola”. Attualmente in fase di esame presso la Commissione Agricoltura del Senato, questa proposta di legge mira a sostenere la castanicoltura, a istituire marchi che certifichino la qualità dei prodotti, alla definizione di castanicoltore, castagno da frutto e castagno da legno, a sostenere processi di valorizzazione, ricerca e innovazione nel settore.

Per sapere di più

Siti web

Beni materiali

La castanicoltura in Valtellina si è dotata nel tempo di alcuni oggetti tradizionali di fabbricazione artigianale, a disposizione di tutte le famiglie che avevano una selva o che si dedicavano a raccolta e trasformazione delle castagne. Anche oggi gli stessi oggetti vengono utilizzati talvolta nelle fasi di raccolta e di lavorazione della castagna. Tra questi il rampelin, coltellino molto diffuso in valle per tagliare le castagne; per la raccolta si usa tradizionalmente la gerla oppure la cavagna, tipico cestino in vimini di nocciolo e castagno dato spesso in mano ai bambini. La padella dei brasché è poi una pentola in ferro bucherellata, che si appoggia direttamente sulla brace per cuocere appunto i brasché o caldarroste. La sciuca e il pisùn sono invece due utensili complementari, impiegati per la pesta ovvero la sbucciatura delle castagne, che avviene dopo l'essiccazione. Questa fase si svolge per qualche mese sulla già citata grà o su appositi solai.

A cura di

Meraki - desideri culturali (per Regione Lombardia) - Lorenzo Caglioni e Naima Comotti

Data di pubblicazione

03-NOV-2022 (Naima Comotti)

Ultimo aggiornamento

29-DEC-2022 (Agostina Lavagnino)

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