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    Vista della Valposchiavo con campi di saraceno sulla destra (i campi più chiari) - Archivio fotografico Valposchiavo
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    Contadine durante la mietitura della segale nel Brusiese - Archivio fotografico Valposchiavo
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    Preparazione delle tipiche ciambelle di segale (“brasciadèli”) - Archivio fotografico Valposchiavo
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    Campo di segale - Daniele Raselli
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    Thomas, agricoltore di Poschiavo, in un campo di segale - Daniele Raselli
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    Campi di segale in estate - Daniele Raselli
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    Grano saraceno in fiore - Cassiano Luminati
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    Una brasciadèla viene sfornata nel forno tradizionale di Casa Tomé alla Festa del Pan Ner - Nadia Garbellini Tuena
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    Attività per la preparazione delle brasciadele di segale in occasione della Festa del Pan Ner a Casa Tomé - Nadia Garbellini Tuena
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    Brasciadele preparate alla Festa del Pan Ner - Nadia Garbellini Tuena
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    Attrezzi agricoli tradizionali a Casa Tomé - Nadia Garbellini Tuena
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    Esposizione di diverse farine prodotte dalla Cooperativa Campicoltura Valposchiavo - Thomas Compagnoni
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    Preparazione dei pizzoccheri alla valposchiavina, con carote, piselli e patate - Lorenzo Caglioni
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    Pizzoccheri alla valposchiavina - Lorenzo Caglioni
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    Vista sui campi coltivati in zona Cultüri in Valposchiavo - Archivio fotografico Luigi Gisep/SSVP
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    Campi di grano saraceno in fiore - Cassiano Luminati
  • 1900
    1960
    1972
    2017
    2021
    2022

Coltivazione dei cereali antichi, grano saraceno e segale, in Valposchiavo

(Furmentun e seghel)

Il legame del territorio con il suo patrimonio alimentare si esprime anche attraverso alcune ricorrenze di origine antica o più recente. Una manifestazione tradizionale legata al grano saraceno è la Festa di Selva, organizzata dalla comunità riformata poschiavina per ricordare il fatto di essere scampati al Sacro Macello, strage in cui  nel 1620 furono uccisi da un gruppo di congiurati cattolici in Valtellina circa 400 protestanti. La festa, istituita nel XIX secolo, si svolge ancora ogni anno una domenica maggio e si compone di una funzione religiosa, un pasto a base di polenta in flur e un pomeriggio di svago dedicato soprattutto ai bambini. A raccontarla Thomas, agricoltore e membro della comunità protestante locale:
C'è una festa che facciamo la prossima domenica in cui abbiamo la tradizione di preparare polenta in flur. È una festa religiosa. Sembra che sia una festa che ricorda il Sacro macello scampato. Nel 1620 in Valtellina, nel 1623 qua.” 
L’altra manifestazione più conosciuta è la Festa del Pan Ner, che si svolge presso Casa Tomé a Poschiavo nel mese di ottobre. Si tratta di una festa di origine recente, comune a molte zone alpine, orientata alla valorizzazione delle tradizioni antiche legate alla segale e alla preparazione del pane. Presso questa antichissima casa, testimone intatta della civiltà contadina, viene ad ogni edizione presentata la tecnica tradizionale del pane di segale, con l’accensione del vecchio forno e la proposta di attività ludiche e didattiche rivolte a bambini e ad adulti. La casa museo, visitabile nell’occasione della festa e da giugno a ottobre, è un vero e proprio spaccato della civiltà contadina alpina, rimasta intatta grazie alla famiglia Tomé. Di origine medievale, questo edificio in pietra si compone degli ambienti tipici di una casa contadina: cucina con focolare, stanza da letto, solai e stalla. In queste stanze, rimaste arredate, si possono scorgere le sovrapposizioni che dal medioevo hanno portato Casa Tomé con piccoli cambiamenti fino alla fine del Novecento, senza mutare troppo di aspetto. Se nella cucina si possono osservare utensili e ambienti per la cottura della brasciadela, nella vecchia stalla oggi è stato allestito un piccolo museo per presentare attrezzi e prodotti dei campi.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

La storia della cerealicoltura e le tradizioni culinarie della Valposchiavo sono intrecciate con quelle della vicina Valtellina, di cui la Valposchiavo è valle laterale, tanto che ad oggi i pizzoccheri, la polenta e il pane di segale segnano un patrimonio culinario condiviso, con alcune piccole differenze locali. La differenza principale a questo proposito è costituita dall’altitudine e dall’esposizione solare. Molte parti della Valposchiavo, infatti, sono più elevate rispetto alla Valtellina e presentano un’esposizione meno favorevole in molti tratti. Nella zona di Poschiavo (circa 100 metri s.l.m) ad esempio risulta difficile sviluppare nello stesso anno la doppia coltivazione di segale e grano saraceno. Nella zona più vicina a Tirano, invece, intorno al comune di Brusio, tradizionalmente si riusciva a coltivare prima la segale e poi dall’estate all’autunno il saraceno.
La segale in Valposchiavo, come in gran parte dell’arco alpino, era probabilmente coltivata sin dall’antichità e costituiva in montagna una coltivazione fondamentale, grazie alla sua capacità di resistere fino in alta quota, tanto che, come testimonia Thomas Compagnoni, agricoltore, “la segale ai tempi si seminava fino a 1700 metri: ci sono i segni dei campi”. Considerata fin dai tempi dei romani come un cereale povero, in montagna si è sempre rivelata una risorsa per tutti. Il frumento invece era considerato un bene raro e prezioso, tanto che nella storia ha generato conflitti, come testimoniato da Laura Cimetti Spadini, dell’Ente Museo Poschiavino:
La segale veniva coltivata in Valposchiavo poiché più adatta al clima di montagna (poteva essere coltivata fino a 1800 metri e in prevalenza sulle sponde e non nel fondovalle poiché teme il ristagno dell’acqua). La farina bianca derivata dal frumento arrivava invece dalla Valtellina ed era un bene prezioso, come il vino. Tant’è che il suo controllo è uno dei motivi della conquista retica nel 1512.” 
La presenza del grano saraceno in valle è storicamente attestata invece al XIX secolo, sebbene sia probabile che fosse conosciuto anche molto prima, data la sua presenza in Valtellina a partire almeno dal XVI secolo. Nella testimonianza di Reto Raselli, presidente della Società Cooperativa Campicoltura Valposchiavo, l’importanza del saraceno tra i cereali tradizionali e nella cultura locale, strettamente legata a quella valtellinese:
Anticamente si coltivava un po' di saraceno, fino alla fine della guerra si coltivava frumento, orzo, segale e saraceno. Poi è sparito tutto. Il saraceno è una coltivazione che è iniziata nel ‘600 in Valtellina come seconda coltivazione. Invece noi lo facciamo come coltura principale. Seminiamo a maggio e raccogliamo a settembre. Ci sono poche regioni al mondo dove si mangia il saraceno. Qui c'è la tradizione del pizzocchero, poi c'è in Giappone o in Russia, e qualche regione nordica, se no in Europa non si conosce saraceno a parte in Valtellina. Pizzoccheri e polenta nera sono i prodotti tipici. Il pizzocchero si mangia anche nelle nostre valli laterali.” 
Dopo una fase di forte abbandono della cerealicoltura, iniziata negli anni Settanta del Novecento, è stata proprio la Cooperativa a promuovere la campicoltura, grazie anche a un cambio di rotta da parte della Politica Agricola svizzera. A partire dalla fine degli anni Novanta infatti l’iniziativa degli agricoltori ha preso forma ed è così gradualmente cresciuta in produzione e partecipazione e oggi conta oltre 20 aderenti alla cooperativa.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

Il ruolo della famiglia in Val Poschiavo è sempre stato centrale sia per la trasmissione delle conoscenze relative alla campicoltura sia per quanto riguarda il passaggio dei campi da una generazione all’altra come forma di eredità. Questa tradizione, strettamente legata alla parentela, continua in molti casi ancora oggi. Abbiamo visto come questa continuità si sia quasi del tutto interrotta verso la fine del Novecento, quando i campi hanno visto una fase di grande abbandono, a causa dell’attrattività rappresentata da altri settori del mercato del lavoro, come il secondario e il terziario e dello spostamento di parte della popolazione nella Svizzera interna o all’estero.
La testimonianza di Martina, la più giovane coltivatrice della cooperativa, riflette anche un cambiamento di mentalità rispetto alla “generazione dei genitori”, che, nonostante possiedano i campi, non incoraggiano i giovani verso la cerealicoltura, ma anzi li spronano ad aspirazioni professionali diverse.
Ho cominciato perché mi era sempre interessato ed è sempre stata una cosa che, per decisione della famiglia, non è mai stata approvata. Io essendo giardiniere paesaggista ero interessata. C'è stata una settimana di progetto con le scuole secondarie in cui si parlava con questi giovani del paesaggio e dei terrazzamenti e mi sono resa conto che questi ragazzi non avevano nessun approccio al grano, alla farina, alla campicoltura. Sono ragazzi cresciuti a Poschiavo. Lì ho iniziato a pensarci seriamente! La motivazione è data anche dalla campagna che si ha e questo è un punto fondamentale. E su questo si potrebbe lavorare anche di più. Ma quello che ci vuole è soprattutto la volontà.” 
Nonostante questo “salto di generazione”, oggi la cerealicoltura in Valposchiavo ha ripreso vigore ed è ancora a partire dall’ambito familiare che spesso si è rigenerata. Aziende agricole o campi ereditati dai genitori o dai nonni hanno rappresentato in molti casi la base di partenza per cominciare un’attività agricola che è quasi sempre sostenuta oggi dalla meccanizzazione.
L’apprendimento avviene però anche al di fuori della famiglia e il capitale sociale riveste un ruolo fondamentale, soprattutto nelle forme di associazione strutturate. In Valposchiavo la cooperativa Società cooperativa campicoltura Valposchiavo è di fondamentale importanza in questo senso. I coltivatori testimoniano infatti di un certo dinamismo all’interno della cooperativa e delle buone relazioni intrattenute con altre cooperative o consorzi svizzeri, che spingono nuove persone ad entrare a far parte del gruppo di campicoltori:
Il frumento ad esempio lo vendiamo anche a un'altra cooperativa del Cantone, molto più grande, si chiama Gran Alpin, è anche una cooperativa che ha permesso di sviluppare la campicoltura nelle montagne, hanno anche la birra, l'orzo di montagna. Siamo soci anche indirettamente di questa cooperativa lì, tutti. E quando abbiamo troppa farina la vendiamo a loro. È una bella cosa quella. Quest'anno abbiamo due nuovi contadini che sono interessati a fare campi, la volontà c'è!” [Rosalie]
Un ulteriore aspetto su cui la Valposchiavo ha investito negli ultimi anni per la trasmissione delle tradizioni legate ai cereali locali è la dimensione culturale e pedagogica. Le attività didattiche proposte dal Museo Poschiavino per far conoscere ai bambini le tecniche di coltivazione e di lavorazione del grano saraceno e della segale vanno proprio nella direzione di sensibilizzare le nuove generazioni all’importanza di questo patrimonio locale e di avvicinarle al mondo dell’agricoltura.

COMUNITÀ

Fino all’inizio del Novecento la civiltà agricola era l’unica forma di organizzazione sociale presente in Valposchiavo e in questo contesto la famiglia giocava un ruolo fondamentale sia nell’apprendimento delle tecniche agricole, sia nello svolgimento del lavoro. L’inizio del secolo scorso ha visto la sparizione progressiva di questo mondo, iniziata con la costruzione degli impianti per l’energia idroelettrica e della Ferrovia del Bernina e con il progressivo sviluppo del settore industriale. Oltre a ciò, il fenomeno della migrazione verso la Svizzera interna o altrove ha modificato ulteriormente la composizione sociale, causando una forte diminuzione demografica.
La comunità che porta avanti le pratiche cerealicole è dunque oggi completamente mutata. Ciononostante è ancora nell’ambito familiare che la maggior parte degli agricoltori inizia a prendere confidenza con questo mondo, a partire dal possesso dei terreni di famiglia. Pur restando una forma di produzione marginale, attualmente la cerealicoltura è passata da pratica legata al sostentamento familiare a una vera e propria filiera organizzata e orientata alla commercializzazione. La rete di persone che oggi ruota intorno alla coltivazione dei cereali antichi fa riferimento a un organismo di recente fondazione: la Società Cooperativa campicoltori Valposchiavo, il cui presidente è Reto Raselli. La cooperativa condivide spese per la trasformazione del prodotto e l’acquisto di macchinari che vengono condivisi (ad esempio per la trebbiatura). Alla cooperativa è collegato anche il marchio 100% Valposchiavo, nato per promuovere e tutelare la produzione locale. Tutte le farine prodotte dagli agricoltori della cooperativa rispettano infatti gli standard della produzione biologica richiesta e sono riconosciuti pertanto attraverso il marchio. L’esperienza di Gildo, membro della Cooperativa, è emblematica del passaggio dalla tradizione familiare al nuovo modo di fare agricoltura:
Io sono cresciuto in una famiglia contadina dove però avevano già smesso di fare questo lavoro per questioni di praticità e di possibilità. Ho riattivato io l'azienda di famiglia, ho fatto io i miei ampliamenti e ci si è meccanizzati. E lì si è cominciato a creare questo gruppo. Abbiamo iniziato a parlare tra agricoltori qua, certi macchinari erano troppo cari per quello che venivano usati e allora si è creata questa cooperativa, questo gruppo.” 
La cooperativa, che unisce oggi una ventina di soci, è nata da un piccolo gruppo all’inizio degli anni 2000 proprio dall’esigenza di condividere le spese per l’acquisto di una buona mietitrebbia. Lo racconta Reto Raselli stesso, da cui è partita l’iniziativa:
Tra il 2004 e il 2005 abbiamo creato un circolo e siamo andati a comprare una macchina decente che esiste ancora. L'abbiamo fatto su base privata in 2-3 amici. Adesso siamo 22-23 soci.
L’organizzazione cooperativa del lavoro prevede oggi che tutte le aziende agricole che coltivano cereali facciano confluire il proprio raccolto presso il pastificio, che provvede alla lavorazione e alla confezione in sacchi da 25 kg per i ristoratori e da 1 kg per la vendita in negozio:
Il grano va a finire alla cooperativa. Se il grano non è bello, uno lo tiene per sé come foraggio. Una volta che lo do è mischiato con quello di altre aziende: frumento, segale e orzo li portiamo al pastificio qua e lui ci fa la lavorazione e ce lo mette in sacchi da 25 kg per i ristoranti e gli stoccaggi da un chilo vanno nei negozi.” [Thomas]

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

La Valposchiavo presenta diverse forme di valorizzazione del suo patrimonio agroalimentare, che vanno dalla promozione della produzione locale ad attività educative e al coinvolgimento culturale del turista. La prima forma di valorizzazione è rappresentata dal sostegno alla filiera dei cereali minori attraverso il progetto “100% (bio) Valposchiavo”, che permette ai produttori locali di vedere riconosciuto il loro prodotto con un marchio apposito. Questa forma di valorizzazione ha sia un impatto dal punto di vista economico - grazie alla possibilità di ricevere delle sovvenzioni per chi produce secondo gli standard previsti- sia da quello simbolico e culturale. Il prodotto 100% Valposchiavo viene comunicato e sostenuto dal Polo Poschiavo e da Valposchiavo Turismo, molti ristoratori lo esibiscono e spiegano nei menù, si impegnano, in un’ottica di valorizzazione e promozione del prodotto locale.
Un’altra forma di valorizzazione è di carattere educativo-culturale. Si rivolge a un pubblico sia locale che di turisti e mira alla divulgazione delle pratiche agricole tradizionali attraverso la valorizzazione dei luoghi dove queste avvenivano nel passato, quali il Mulino Aino o Casa Tomé. Nella testimonianza di Laura Cimetti Spadini, curatrice del Museo Poschiavino, emerge l’importanza attribuita negli ultimi anni agli aspetti pedagogici sulla conoscenza delle usanze agricole legate a segale e grano saraceno: “All'interno di Casa Tomè e del Mulino Aino vengono costruiti dei percorsi in cui i bambini in età scolare o anche adulti possono vedere il grano saraceno dalla sua coltivazione, dal chicco di grano: la semina, la macinatura al mulino, fino ad arrivare al piatto in tavola. Qui alla Casa Tomé con l'aiuto dei gruppi prepariamo i pizzoccheri e i chiscioi, che sono preparazioni a base di grano saraceno. Lo scopo è far capire da dove arriva quello che noi mangiamo proprio per fare passare il valore legato ad ogni cosa, dalla terra fino alla nostra bocca.
Il progetto citato da Laura è “Dal campo alla tavola”, percorso didattico pensato per far conoscere ai bambini tutte le tappe che interessano il grano saraceno, dal chicco alla sua trasformazione in farina, alla preparazione dei pizzoccheri. Tale percorso si svolge tra il mulino, dove vengono seguite le prime tappe, e la Casa Tomé, dove si completa il processo di trasformazione fino alla realizzazione delle ricette. Uno degli eventi principali in cui si concentrano le attività di valorizzazione e sensibilizzazione a fini didattici è la “Festa del Pan Ner”, una festa transalpina e internazionale che accomuna i diversi territori dell’arco alpino, legati dal punto di vista culinario dall’uso del pane di segale. Nasce qui come altrove da una collaborazione tra Italia, Svizzera, Slovenia e Francia e in Valposchiavo è stata organizzata ogni due anni a partire dal 2015. Nello specifico la festa si svolge negli antichi ambienti di Casa Tomé, dove si propongono attività sul pane: l’impasto, la cottura nel vecchio forno, l'asciugatura sugli appositi pali. A questa attività principale vengono talvolta proposte delle iniziative di valorizzazione della cultura contadina intorno, ad esempio, ai giochi di una volta o, come accaduto di recente, alla conoscenza del melo antichissimo presente nel giardino della casa. Sempre secondo Laura, curatrice della festa, lo scopo è un po' di far rivivere e di mantenere questi saperi, di tramandare i saperi, in modo da andare un po' nel passato.

MISURE DI SALVAGUARDIA

Tra le misure di salvaguardia dedicate ai cereali antichi, spicca fra tutte in Valposchiavo il marchio nato dal Progetto per lo Sviluppo Regionale (PSR) "100% (bio) Valposchiavo ®", con lo scopo di valorizzare la produzione agricola valposchiavina e di permettere ai coltivatori di vendere i loro prodotti a chilometro zero. Il regolamento ufficiale esprime l’intento di creare un circuito virtuoso orientato alla sostenibilità: “Il progetto “100% Valposchiavo” mira a valorizzare l'economia locale della Valposchiavo. Le aziende promotrici del progetto [...] basano le loro scelte imprenditoriali sulla considerazione degli impatti economici, sociali e ambientali delle loro azioni.”
La campicoltura ha potuto trarre grandi benefici dal progetto. Tra i prodotti 100% Valposchiavo ci sono infatti tutte le farine di segale, grano saraceno, mais, orzo perlato, frumento prodotte dagli agricoltori della Società cooperativa campicoltura Valposchiavo. Il marchio è valorizzato in valle sia nei negozi, come drogherie, minimarket e caseifici, sia nei ristoranti e negli alberghi, dove il marchio viene esibito nei menù per spiegare la provenienza locale della materia prima, facendo così da ponte tra agricoltura e turismo. Un gruppo di 10 albergatori della valle ha firmato una charta in cui ciascuno si impegna a impiegare in almeno tre ricette proposte nel menù materie prime coltivate e trasformate esclusivamente sul territorio, come raccontato anche dalla coltivatrice Rosalie: “Ci sono alcuni ristoranti che hanno firmato questa carta e che mettono a disposizione un menù con tanti ingredienti della Valle. C'è anche un pizzaiolo che si è impegnato a fare la pasta con la farina di qua.
All’interno del medesimo progetto, la Valposchiavo ha creato inoltre anche un secondo marchio, “Fait sü in Valposchiavo”, che interessa i prodotti lavorati sul territorio. Secondo il regolamento “un prodotto può fregiarsi del logo “Fait sü in Valposchiavo"® se è fabbricato in Valposchiavo e se almeno il 75% del valore aggiunto è generato in valle.” Un esempio dei prodotti di questo secondo marchio sono le farine del Molino e pastificio SA di Poschiavo, che collabora anche con la cooperativa campicoltori per la trasformazione dei cereali locali, ma produce anche delle farine con cereali non biologici provenienti dall’Italia e da altre zone della Svizzera.
Esistono ulteriori forme di sostegno della filiera dei cereali minori promosse dalla Confederazione Svizzera e dal Cantone. Da un lato la politica agricola svizzera prevede forme di finanziamento che incentivano la produzione, andando così però talvolta a discapito di chi produce piccole quantità di cereali. Dall’altro sono previste forme di aiuto ad hoc per l’agricoltura di montagna, attraverso cui i coltivatori possono richiedere un contributo aggiuntivo per la campicoltura. Tali misure sono incluse nel progetto per la Qualità del Paesaggio promosso dalla Regione Valposchiavo all’interno di un programma federale. Inoltre, in Svizzera è stato pensato lo strumento dei PSR (Progetto Sviluppo Regionale), introdotto nel quadro della Politica agricola 2007 per armonizzare la politica agricola con la politica regionale. A tale proposito l'articolo 93 della legge sull'agricoltura permette alla Confederazione di sostenere i progetti di sviluppo regionale laddove la partecipazione dell'agricoltura è preponderante. Uno di questi Progetti di Sviluppo Regionale ha proprio dato origine al marchio “100% Valposchiavo”.

Beni immateriali collegati

Castanicoltura in Valposchiavo
Festa di Selva

Per sapere di più

Siti web

Bibliografia

  • Bonato, L.
    Archivio antropologico mediterraneo - Soltanto le montagne non si incontrano. Buone pratiche per il recupero di colture/culture locali fra tradizione e innovazione
  • Jochum-Siccardi A.
    Quaderni Grigionitaliani - Casa Tomé : una casa, una famiglia, uno spaccato di vissuto locale, 81 (2012/2), pp 53-71.
  • Salis, E., Scaramellini, G., Federici-Schenardi, M., Andreetta, A., Tognola, G., Krebs, M. C. P., & Valenti, R.
    Quaderni Grigionitaliani - L’alimentazione nelle valli alpine Quaderni grigionitaliani

Beni materiali

La cerealicoltura in Valposchiavo vive oggi una fase di innovazione che incide sulle tecnologie impiegate per coltivare e trasformare i cereali antichi. Ad attrezzi e strumenti tradizionali oggi si sostituiscono i macchinari che permettono di velocizzare il lavoro e di orientarlo anche alla commercializzazione. Tuttavia i ricordi dei metodi tradizionali rimangono vivi nella memoria di molti. Le tecniche tradizionali più diffuse sono quelle che riguardano la segale, coltivata lungo tutta la Valposchiavo insieme all’orzo. Dopo la preparazione del campo, che veniva arato con l’ausilio di cavalli, la segale si raccoglieva in covoni, che venivano posti in solai asciutti ed arieggiati, per completare l'essiccazione. Qui il ricordo di questa pratica da parte di Mario, anziano abitante di Poschiavo:“Si facevano i covoni, si mettevano alle volte in solaio e, prima che arrivassero le trebbiatrici, si metteva sopra a seccare, dopo veniva battuta. Dopo è arrivata la trebbiatrice e si andava dal campo direttamente alla trebbia, non si facevano più i covoni.” Si procedeva quindi con la battitura, che avveniva sbattendo i mazzi di segale contro un’asse di legno appoggiata a una parete. Al di sotto delle spighe venivano posti dei teli appositi, le pelorsce, su cui cadevano i semi per essere raccolti. Successivamente in giorni ventilati si puliva il seme dalla pula: “Si raccoglievano e le mettevamo in uno scrigno di legno e quando c'era un po' di aria le prendevamo con un piccolo secchio e l'aria portava via le bucce e rimaneva il grano pulito.” In alternativa, i semi di segale venivano fatti saltare in un'apposita cesta di vimini, denominata vann, per eliminare eventuali sassolini: “dopo la mamma le faceva passare ancora con un coso di legno, le metteva dentro e le faceva saltare, allora veniva fuori qualche sassino, si chiamava il vann, fatto con le trecce di legno.” [Pasquale]. Oltre al vann si utilizzava anche il drac, un setaccio impiegato per separare il grano dalle pagliuzze e dalle spighe.Gli utensili che contraddistinguono la coltivazione del grano saraceno si differenziano parzialmente da quelli utilizzati per la segale e sono comuni a quelli impiegati in Valtellina. Tradizionalmente infatti il grano saraceno veniva coltivato in prossimità del tiranese, nella zona di Brusio. Qui Pasquale ricorda ancora che la semina avveniva dopo la zappatura in seguito al raccolto della segale:“Finito con la segale si girava con la zappa e si seminava il furmentun. Si raccoglieva poi a fine settembre o metà di ottobre. E con quello si facevano le caselle nel campo. Si facevano dei mazzi, si facevano seccare quei 15 giorni e poi le battevamo. Vicino alla casa mettevamo giù le pelorsce.”Diversamente dalla segale, le casèle (=i covoni) venivano lasciate ad asciugare due settimane sul campo per poi essere battute sulle pelorsce con un apposito strumento: il fièl, un particolare bastone alla cui estremità è attaccato con una corda un altro cilindro di legno, con cui si colpiscono i covoni di grano saraceno.

A cura di

Meraki - desideri culturali (per Regione Lombardia) - Lorenzo Caglioni e Naima Comotti

Data di pubblicazione

31-OCT-2022 (Lorenzo Caglioni)

Ultimo aggiornamento

31-DEC-2022 (Agostina Lavagnino)

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