-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
1958
1972
1974
1975
1976
1985
2003
Musica da piffero nell’area delle Quattro Province
Uno dei patrimoni musicali più importanti e vitali in Italia settentrionale si trova nell'area conosciuta come "Quattro Province", antico crocevia di incontri e di scambi culturali ai confini di quattro differenti regioni: Emilia Romagna (Piacenza), Lombardia (Pavia), Liguria (Genova) e Piemonte (Alessandria). In quest'area è tuttora viva una delle più importanti espressioni della tradizione musicale dell'area appenninica: la musica da piffero. Il piffero è uno strumento musicale che appartiene alla famiglia degli oboi e a quella più generale degli aerofoni ad ancia doppia. E' strumento solista: ancora nel periodo tra le due guerre era suonato in coppia con la zampogna, nota localmente come müsa, sostituita nel tempo dalla fisarmonica.
I pifferai erano un tempo i leader culturali della montagna appenninica e venivano chiamati in paesi diversi a esercitare la loro professione. Questo nomadismo professionale li metteva in contatto con realtà diverse che contribuivano a porli al di sopra della classe sociale di appartenenza e al di fuori dei ristretti limiti culturali della propria comunità. Tra i suonatori di piffero alcuni spiccano come figure leggendarie, come nel caso del Draghino, considerato il primo grande pifferaio, protagonista di leggende, racconti, aneddoti e canti in tutta l'area delle Quattro Province. Ernesto Sala di Cegni, ultimo grande interprete contadino di questa tradizione che ha ispirato una generazione di giovani musicisti che ancora oggi proseguono e rinnovano questa tradizione.
Il repertorio da piffero e fisarmonica comprende un corpus di danze tradizionali come Monferrine, Alessandrine, Gighe, Perigurdine, Sestrine, e Piane e un corpus di danze più recenti denominate balli "lisci" come Valzer, Polche, Mazurche. I primi sono balli di gruppo con una coreutica precisa che tuttavia presenta alcune varianti in base al paese in cui viene eseguita, i secondi, invece, sono i più noti balli di coppia, introdotti all'inizio del XX secolo. Tali danze vengono effettuate in diversi contesti tradizionali: durante feste di paese o dei coscritti, o durante feste rituali come matrimoni e carnevali.
In alcune valli, Val Staffora, Curone e Borbera, è tuttora diffuso un arcaico ballo da piffero, il ballo della"Povera donna". A Cegni, nell'alta val Staffora, questo ballo ha conservato la sua cornice rituale di carattere carnevalesco, rappresentando il momento allegorico più evidente dello svolgimento rituale.
Oltre alle musiche strumentali vi è una parte più arcaica del repertorio in cui il piffero ha una funzione di accompagnamento al canto. I canti da piffero si collocano in uno degli stadi più arcaici della vocalità popolare del nord Italia. Sotto il profilo esecutivo, in quanto adattati all'estensione del piffero e in larga parte eseguiti da cantori di sesso maschile, sono intonati con voce acuta e forte. Si presentano il più delle volte composti da pochissime strofe, alle quali si alterna uno "stacco" strumentale, adattabile a brani differenti e utilizzato liberamente in altre melodie. I brani più interessanti sono collegati al rito del matrimonio e alle feste calendariali.
Ancora oggi, durante il rito nuziale, vengono eseguiti il Levar della sposa e il Levar di tavola. Il primo è costituito da una serie di canti (Sposina, Luigina, Bella Nova) che accompagnano l'inizio della cerimonia, dall'uscita della sposa da casa, al percorso degli sposi e del corteo nuziale fino alla chiesa. Il Levar di tavola è un unico brano, molto lungo, che viene suonato alla conclusione del pranzo nuziale
Tra i canti da piffero calendariali vi sono, nell'area delle Valli Trebbia e Tidone, quelli che vengono eseguiti nel corso dei rituali primaverili come la Galìna grisa e il Carlin di maggio. Fra i canti accompagnati dal piffero vi erano inoltre alcuni canti narrativi come Carolina di Savoia, I falciatori e Ratto al ballo. Troviamo anche, restituiti sotto forma di balli moderni, adattamenti di canzoni come E qui comando io, Piemontesina, O campagnola bella, O Bacicin, brani da cantastorie, come Brunetto o ancora, nel versante pavese, I disertori. Non sempre questi brani presentano la parte cantata: non è raro che siano eseguiti esclusivamente come strumentali.
Il repertorio del piffero delle Quattro Province possiede una costante che vede nel particolare e caratteristico stile del piffero la sua colonna portante. Lo stile, ovvero l'insieme e la combinazione di varianti timbriche e abbellimenti utilizzati per dare allo strumento maggiore espressività, differisce nei diversi luoghi e funge da spartiacque tra i suonatori dell'area pavese e quelli dell'area piacentina.
La musica da piffero vive ancora oggi grazie a una forte partecipazione da parte delle comunità e si avvale attualmente di protagonisti ampiamente riconosciuti come Stefano Valla di Cegni. Marco Domenichetti, Ettore Losini, Roberto Ferrari, oltre una nuova generazione di pifferai. Attualmente, come in passato, i suonatori svolgono un'intensa attività legata alle feste da ballo e ai rituali, che mantiene viva la musica e la cultura di tradizione di questa area, rinnovandola grazie a stimoli culturali contemporanei.
NOTIZIE STORICO-CRITICHE
Il piffero dell'Appennino, date le sue caratteristiche morfologiche, può essere considerato uno strumento appartenente al gruppo degli aerofoni conici ad ancia doppia.
Gli aerofoni conici ad ancia doppia sembrerebbero trovare origine nel medioevale oboe islamico, a noi giunto attraverso radicali e molteplici trasformazioni, anche se strumenti affini sono già testimoniati nell'Italia romana. Queste trasformazioni hanno prodotto tre tipologie diverse di oboe, ognuna con proprie varianti: il surna ndiano, la bombarda rinascimentale europea e una categoria in cui è collocabile il piffero delle Quattro Province. Il piffero di cui parliamo farebbe dunque parte di un gruppo di strumenti arcaici, che si sono rinnovati e differenziati nella forma senza perdere le caratteristiche originarie. Sviluppatisi in Europa durante il Medioevo sono vissuti a fianco, ma in disparte, rispetto alla famiglia dei legni ad ancia ampliamente impiegati nella musica rinascimentale "colta".
Il piffero si presentava in contesti di tipo rituale, cerimoniale, festivo, di danza. Numerose sono le fonti iconografiche e letterarie che lo rappresentano in coppia con la zampogna, in organici relativamente ampi o accompagnato dai tamburi.
Negli anni '60 nel repertorio da piffero e fisarmonica delle Quattro Province si è affievolito il legame con il passato, tuttavia non si è verificata una rottura netta, poichè, in quegli anni, Ernesto Sala manteneva vivo il repertorio attraverso feste e rituali. I giovani come Stefano Valla erano incentivati ad imparare il repertorio locale e hanno fortemente voluto mantenerlo vivo e preservarlo. Così da Valla in poi è nata una nuova generazione di giovani che seguendo l'esempio di Stefano Valla e del predecessore Ernesto Sala stanno tuttora imparando le melodie e i rituali del patrimonio musicale del piffero. Attualmente, come in passato i suonatori di piffero svolgono durante l'anno un'intensa attività legata alle feste da ballo e ai rituali. In queste occasioni i suonatori di piffero e fisarmonica vengono pagati dalla comunità e sono stimati dai ballerini. Per questo il suonare il piffero può essere considerato un lavoro vero e proprio. In passato la necessità di aumentare il proprio reddito, spingevano alcuni a svolgere, in concomitanza al lavoro quotidiano anche il lavoro del suonatore di piffero.
APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE
L'apprendimento delle tecniche per diventare un buon suonatore di piffero iniziava generalmente in un'età compresa fra i quattordici e i vent'anni. Solitamente la trasmissione del repertorio e delle tecniche esecutive avveniva in ambito familiare. Questo anche per ragioni economiche, in una realtà estremamente povera quale era quella della montagna appenninica l'acquisto di uno strumento e il pagamento di lezioni erano accessibili a pochi.
Le musiche da ballo venivano apprese esclusivamente attraverso un processo di trasmissione orale per il quale era necessario disporre di una discreta capacità mnemonica.
Il primo stadio dell'apprendimento infatti consisteva nella memorizzazione della linea melodica. Un espediente per la memorizzazione era l'apprendimento delle strofe delle canzoni, le cui melodie venivano trasformate in musiche da ballo. Il principiante le eseguiva vocalmente con una particolare tecnica che, a imitazione della pratica esecutiva del piffero, teneva conto anche degli abbellimenti, dell'espressione e della respirazione.
Una volta memorizzato il brano, il suonatore ne studiava la diteggiatura sullo "zufolo" (flauto dolce), strumento che pur avendo una diteggiatura analoga a quella del piffero richiedeva un minor impegno fisico e permetteva una pratica più prolungata. In passato i tornitori fabbricanti di pifferi producevano anche flauti dolci; ora questa produzione è scomparsa e si usa un comune flauto dolce soprano. Una volta apprese la melodia e la diteggiatura corretta, il suonatore iniziava a eseguirla direttamente sul piffero.
Attualmente la trasmissione del repertorio avviene attraverso una vera e proria didattica. I maestri di piffero tendono a impostare un metodo per l'apprendimento del repertorio, con la quale avviene un trasferimento di conoscenze direttamente dal maesto all'allievo.
COMUNITÀ
Nel territorio delle Quattro Province sono ancora attivi un numero consistente di suonatori di piffero, costruttori e ballerini che praticano nelle feste da ballo e nei principali momenti rituali questo repertorio. Parallelamente sono presenti sul territorio anche molte formazioni musicali che si ispirano alla musica tradizionale del piffero in chiave più moderna e contaminata da stili musicali non tradizionali che si esibiscono nelle feste, sagre e concerti folk. La partecipazione delle comunità in questi terriitori è alquanto attiva. Spesso gruppi di ballerini seguono nelle divese destinazioni i suonatori di piffero per le occasioni di ballo.
AZIONI DI VALORIZZAZIONE
Nel territorio delle Quattro Province Comuni, Associazioni, formazioni musicali folk e detentori della tradizione operano per la conservazione, la conoscenza, la valorizzazione della cultura musicale di questo territorio, organizzando feste da ballo, iniziative seminariali, e manifestazioni volte a questo scopo.
Beni immateriali collegati
Per sapere di più
Siti web
-
Dove comincia l'Appennino. Note culturali e naturalistiche sul territorio delle Quattro Province
-
Stefano Valla e Daniele Scurati. Piffero e fisarmonica delle Quattro Province
Bibliografia
-
Giovannetti Giovanni
L'albero del canto. Storie, mestieri, melodie - La casa della fisarmonica. Autobiografia di Amleto Dallapè
Formicona 1985 -
Gianotti Marta
Il piffero delle Quattro Province nel repertorio attuale: l'esperienza di Stefano Valla
Università degli Studi di Pavia 2003 -
Citelli Aurelio, Grasso Giuliano
Canti e musiche popolari dell'Appennino pavese. canti rituali, i balli, il piffero.
Associazione culturale Barabàn 1989 -
Pianta Bruno, Leydi Roberto, Stella Angelo
Pavia e il suo territorio
Silvana Editoriale 1990 -
Leydi Roberto
Quattro strumenti popolari italiani: organetto/ launeddas/ piffero/ violino.
Tipografia Editrice Cesare Nani. 1976
Beni materiali
Pifferi e muse di antica costruzione sono conservati presso abitazioni private di suonatori e nei laboratori artigianali dei costruttori, oltre che in alcuni Musei. Il Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro (PR) conserva un'antica musa e un piffero costruiti da Nicolò Bacigalupo u Grixu di Cicagna, oltre agli attrezzi per la costruzione del famoso costruttore.
A cura di
Regione Lombardia - Archivio di Etnografia e Storia Sociale - Fabia Apolito
Data di pubblicazione
26-MAR-2013 (Fabia Apolito)
Ultimo aggiornamento
27-FEB-2020 (Agostina Lavagnino)
TweetDalla Community
Racconta