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Natura e Universo

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(PV), Lombardia - Italia

L'area che vede la diffusione del salice coltivato come risorsa sussidiaria all'agricoltura contadina comprende l'intero Oltrepò pavese, dalle rive del fiume Po dopo l'incontro con il Ticino fino all'Appennino. Nei diversi contesti ecologici che attraversano l'Oltrepò, dalla pianura fino alla montagna, il salice s'intreccia alla specificità delle pratiche abili e dei saperi tecnici che caratterizzano ogni comunità rurale. In particolare viene considerata la relazione di questa pianta con le aree di maggiore diffusione della viticoltura: dalla prima collina di Stradella, nell'Oltrepò Orientale fino all'inizio delle aree montane, Ruino.

Uso del salice e viticoltura contadina dell’Oltrepò pavese

Il salice, grazie alla sue caratteristiche di flessibilità, ha assunto un ruolo fondamentale nel paesaggio viticolo d'Oltrepò. Le numerose pratiche abili che s'intrecciano a questa pianta, segnano il confine tra modalità di viticoltura contadina e forme di viticoltura industriale. Prima di tutto la differenza si fonda sulle strategie produttive che nel primo caso si assicurano l'autogestione e l'autoproduzione delle risorse sussidiarie alle attività in vigna. Il tempo dedicato alla cura delle piante, alla loro potatura e mondatura sostituisce l'investimento di denaro per procurarsi mezzi produttivi sul mercato.
Un'altra distinzione si può rintracciare nel tipo di gesti che caratterizzano la coltivazione della vite quando viene usato il salice. Nella viticoltura intensiva i gesti si fanno "operai", scollegati dalla totalità della pianta e dagli effetti che il proprio intervento genera nel lungo periodo; sono gesti semplificati che possono essere appresi velocemente.
Le pratiche che implicano l'uso del salice, invece, richiedono un periodo di apprendistato per essere eseguite con destrezza. Alla manodopera di passaggio non si insegna a legare con i salici: il tempo necessario per "fare pratica" fa sì che solo chi ha un legame continuativo con il lavoro in vigna possa accederne alla pratica. L'uso del salice si confonde con il senso identitario di appartenenza al locale e ad una comunità di pratica.
La forma assunta dai salici in Oltrepò è espressione della cultura contadina locale, di specifici elementi di etnobotanica, di estetiche, progettualità e abilità pratiche condivise.
Il quadro di Pellizza da Volpedo L'uomo che taglia i sars ben rappresenta la peculiarità dell'incontro tra contadini e salici nel contesto culturale dei contadini dell'Oltrepò. Dopo la capitozzatura iniziale la pianta viene modellata, attraverso potature e intrecci dei rami lasciati, fino a costituire una "gabbia" (come viene chiamata dagli agricoltori), una struttura di contenimento e protezione per il contadino al momento della raccolta. Il vignaiolo coglie i salici non sulla pianta ma dentro. Appoggiandosi con l'inguine o le gambe alla "gabbia", l'agricoltore ha la possibilità di mantenere libere le mani che gli servono per tagliare e tenere in mano la fascina. La gabbia protegge il potatore, sostenendolo durante la raccolta. Nello stesso tempo, questa forma di potatura aumenta la produzione: si lasciano molti più "occhi" (gemme) che diventeranno i futuri rami da cogliere. Un'altra giustificazione per questo tipo di estetica viene rintracciata nel fatto che, non creando ceppaie, la pianta secca meno facilmente. È un rapporto di collaborazione tra l'abilità dell'uomo e le qualità pianta: secondo alcuni intervistati, le piante muoiono molto più facilmente anche perchè le si pota sempre peggio. Le regole per una potatura ben fatta, riguardano il bisogno attribuito alla pianta di essere "ringiovanita" (riduzione periodica di parte della gabbia) e "lasciata respirare" (evitando che i rami crescano al suo interno e si incrocino tra loro). Le architetture del salice possono essere un esempio di come la tradizione non sia semplice ripetizione di se stessa. Nel passaggio generazionale la pianta ha preso nuove forme all'interno del paesaggio rurale. La gabbia sembra lasciare spazio ad archi modellati per cogliere dal basso. Alle piante ereditate con le vigne dalle precedenti generazioni sono spesso dimezzate le gabbie e incurvate di modo da renderle più accessibili ad una raccolta da terra. Nonostante le forme rinnovate si può comunque scorgere una linea di continuità con la tradizione che le rende distinguibili rispetto alle forme prese da queste piante in altre aree culturali.
L'abilità nell'uso del salice consiste soprattutto nell'adattare la tecnica di legatura e del nodo a ciò che deve essere legato. Abbiamo documentato quattro pratiche diverse di nodo: per spianare o fare la vite, cioè legare il tralcio della vite al ramino; per sistemare l'impanto, ovvero fissare il ramino allo scaloss (palo); per unire tra loro i due pali di testa (orizzontale e verticale); infine, il nodo per unire le fascine di salici e portarle a casa dopo la raccolta.
I salici sono legati anche ai saperi artigianali che, attraverso l'intreccio, consentono la realizzazione di contenitori con funzionalità diversificate: cavagne per raccogliere l'uva, rivestimenti per le damigiane, per fiaschi o bottiglioni, gabbie per il pollame, slitte per i raccolti etc. Come la maggior parte delle forme di artigianato legate all'agricoltura, anche il destino della cesteria è fortemente dipendente dal cambiamento delle pratiche vitivinicole. La diffusione della plastica ha reso "improduttivo" il tempo impiegato per la realizzazione, attraverso la tecnica dell'intreccio di salice, di manufatti necessari al lavoro in vigna o in cantina. Oggi la cesteria è per lo più praticata come passione individuale di pochi e difficilmente si sente l'importanza di trasmetterne l'abilità. Possiamo comunque rintracciare la continuità con la tradizione nell'uso tuttora diffuso e creativo dei salici come materiale povero, facilmente reperibile e versatile, che, per mezzo dell'intreccio, può essere modellato sulle più diverse esigenze.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

L'abilità di legatura in vigna è trasmessa come elemento continuativo della tradizione di viticoltura contadina, soprattutto quando la famiglia costituisce il principale nucleo produttivo. La tecnica è rimasta invariata nel tempo, ciò che è cambiato è la percezione collettiva dell'importanza di questa pratica e i suoi contesti di diffusione, notevolmente ridotti rispetto a due decenni fa. La maestria nell'uso dei vinchi, e quindi il raggiungimento di una velocità di esecuzione sostenibile per i tempi produttivi, richiede un apprendistato pratico di diverse stagioni. Per questo motivo viene trasmessa a chi, per ragioni famigliari o lavorative, ha un legame continuativo con la vigna.
La trasmissione dell'abilità dell'intreccio per la creazione di manufatti ha subito un destino diverso. Il fattore di trasmissione sono i manufatti stessi che sono testimoni dei saperi fino a qualche decennio fa altamente diffusi. Sono presenti nelle case, cantine, granai di quasi qualsiasi famiglia che sia, in un modo o nell'altro, legata al contesto rurale d'Oltrepò. La tecnica dell'intreccio non viene espressamente trasmessa (se non in rari casi di corsi di cesteria) ma viene piuttosto intuita a partire dall'osservazione degli intrecci di ciò che è ancora materialmente presente nei contesti di vita quotidiana.

COMUNITÀ

L'uso del salice è diffuso in tutta l'area rurale dell'Oltrepò e coinvolge diversi gruppi di agricoltori che, in base all'area ecologica, sono titolari di specifiche pratiche abili connesse alla pianta. In particolare, la storia delle comunità di vignaioli è intrecciata alla trasformazione delle pratiche d'uso del salice. L'accorpamento delle proprietà, la crescente meccanizzazione e l'uso di manodopera di passaggio hanno reso, negli ultimi due decenni, le pratiche di legatura con il salice un sapere non più scontato. Viene tramandato solo nei contesti produttivi dove chi lavora ha un legame di continuità con la vigna, dove l'apprendistato e l'abilità conquistata vengono considerati risorsa collettiva per il futuro. L'utilizzo del salice per la realizzazione di strutture di contenimento coinvolge la parte di abitanti che, essendo intimi alle qualità della pianta, la utilizzano per trattenere il terreno franoso o per le bonifiche di quelli acquitrinosi. La comunità dei cestai, una volta ampiamente diffusa, oggi si riduce a passioni praticate individualmente. La tecnica specifica della cesteria è stata riappropriata come pratica diffusa e reinventata soprattutto da parte delle nuove generazioni per la realizzazione di orti, manufatti creativi e artistici.

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

Le iniziative pubbliche legate alla viticoltura in Oltrepò hanno difficilmente valorizzato le pratiche contadina considerata "improduttiva" rispetto alla viticoltura intensiva ed industrializzata. La documentazione e la sua comunicazione pubblica attraverso il R.E.I.L. sono state uno strumento anche per favorire una valorizzazione da parte delle istituzioni pubbliche.

MISURE DI SALVAGUARDIA

Le abilità contadine connesse all'uso del salice fanno parte del R.E.I.L. (Registro delle Eredità Immateriali Lombarde), progetto di valorizzazione, salvaguardia e promozione dei beni immateriali, saperi tradizionali e pratiche rituali della Regione Lombardia.
In connessione alla documentazione sono state messe in atto dall'Associazione Chicercacrea una serie di attività di facilitazione della trasmissione del bene alle nuove generazioni attraverso laboratori didattici, dentro e fuori dalle scuole, che consentissero una riappropriazione creativa della tradizione ancora viva sul territorio.

Per sapere di più

Siti web

Beni materiali

Le piante di salice - localmente chiamato gaba - sono vere e proprie sculture arboree, espressione estetica della tradizione contadina dell'Oltrepò.Gli intrecci con il salice che sono ancora ampiamente diffusi e utilizzati, per lo più eredità di un sapere pratico che difficilmente viene trasmesso.Opere creative e diffuse di intreccio con il salice.

A cura di

Società dell'Accademia - Alessia Bottaccio

Supervisore scientifico

Federica Riva

Data di pubblicazione

26-OTT-2012 (Alessia Bottaccio)

Ultimo aggiornamento

16-MAR-2015 (Fabia Apolito)

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